Il burrascoso rapporto tra Phil Jackson e Carmelo Anthony ai New York Knicks si arricchisce di un altro capitolo. Stavolta è il maestro zen, in silenzio da settimane, a lanciare un segnale chiarissimo alla presunta stella della franchigia di cui è presidente. Quasi un invito ad accettare una destinazione diversa entro la trade deadline del 23 febbraio, di certo un messaggio chiaro circa l'incompatibilità cestistica tra il signore degli anelli e l'uomo chiamato Melo.
Andiamo con ordine. E' il pomeriggio di ieri (tarda serata italiana), quando Jackson utilizza il proprio account Twitter per postare parole criptiche, senza mai menzionare Anthony. Tutto nasce da un articolo di Kevin Ding per Bleacher Report, in cui si spiega come l'ex allenatore di Bulls e Lakers si sia ormai arreo all'impossibilità di inserire Carmelo in un contesto organizzato di pallacanestro, in un sistema di continuità offensiva che non gli consenta di tenere ferma la palla. Ciò che invece accade puntualmente da anni con Anthony, realizzatore formidabile ma mai uomo squadra, quasi sempre giocatore da isolamenti. Eppure Jackson sperava di poter convincere il suo numero sette a modificare il suo modo di giocare per abbracciare non solo la triple post offense (l'attacco triangolo implementato da Tex Winter), ma una nuova visione - collettiva - di pallacanestro. Tutto inutile, secondo quanto riportato proprio da Ding, che rivela tutta la delusione del maestro zen per il fallimento della sua esperienza tecnica ai Knicks insieme a Melo. Fin qui niente di inusuale, se non fosse che lo stesso Jackson si prenda la briga di commentare l'articolo di Ding, con un tweet al curaro: "Kevin (Ding) ci è andato molto vicino, ma è dai tempi di Michael Graham in CBA che ho imparato che non puoi togliere le macchie da un leopardo". Qui la versione originale del tweet, infarcita di riferimenti criptici e sconosciuti ai più.
Bleacher's Ding almost rings the bell, but I learned you don't change the spot on a leopard with Michael Graham in my CBA daze
Il messaggio, come poi ricostruito da esegeti del pensiero jacksoniano, è una stoccata velenosa ad Anthony, oltre che un riconoscimento pubblico alla bontà del lavoro di un giornalista Kevin Ding. Jackson riconosce tra le righe di aver provato a rendere partecipe il suo numero sette delle sue idee di pallacanestro, ma si arrende di fronte all'impossibilità di modificare testa e gioco di Melo. E lo fa chiamando in causa tale Michael Graham, giocatore allenato durante l'epoca della CBA (ricordata con il termine gergale "daze", utilizzato al posto di "days"). Di Graham Jackson aveva già scritto nel suo libro "Sacred Books": "Niente di ciò che gli dicessi faceva alcuna differenza. Ogni volta che provavo a parlargli, i suoi occhi diventavano vitrei, e lui si ritirava in qualche angolo oscuro della sua mente in cui nessuno sarebbe riuscito a penetrare. Alla fine decisi di mollare e di lasciarlo andare". Michael Graham come Carmelo Anthony, dunque. Con le dovute proporzioni relative al talento, ma con la stessa incapacità di ascoltare: impossibile eliminare le macchie da un leopardo, dice Jackson. Un atto di resa, che allo stesso tempo suona come un invito deciso ad Anthony a lasciare i Knicks, accettando una destinazione diversa dalla Grande Mela ed eliminando dal contratto l'ormai famigerata "no trade clause".