Nella notte tra martedì e mercoledì, i San Antonio Spurs hanno centrato la trentaduesima vittoria di regular season NBA su quarantuno partite giocate. Eppure, dopo aver schiantato 122-114 i Minnesota Timberwolves, coach Gregg Popovich ha voluto porre l’accento sulla strada che ancora c’è da fare, arrivati al punto esatto del giro di boa. “Abbiamo giocato bene per 24 minuti. Ma non siamo ancora dove vogliamo essere. È tutto ciò che posso dire. Penso che nessuna squadra, esclusa forse Golden State, sia dove vuole essere. Stiamo tutti cercando di arrivarci”.
Il riferimento di Pop, in una squadra in cui il talento straborda, non è tanto alle qualità tecniche, ma più alla forza mentale ed alla coesione, essenziale per una squadra che sta affrontando l’ennesimo anno da contender. Questo, più di una palla rubata o di uno step-back, potrebbe fare la differenza tra chi vincerà l’anello e chi fallirà l’obiettivo stagionale.
La prima metà di partita è stata piuttosto rivedibile proprio in quest’ottica: 71 punti incassati (contro i 67 segnati) e diciassette falli che hanno originato trenta tiri liberi di squadra, di cui ventinove a bersaglio. Un’enormità, soprattutto per chi ha sempre fatto della difesa la pietra miliare su cui costruire stagioni e stagioni di successo. E che, non per la prima volta in stagione, sembra venire meno: è la terza occasione in cui l’avversaria degli speroni rientra all’intervallo con oltre settanta punti già in cascina. Negli altri vent’anni di gestione Popovich era accaduto una sola volta, nel gennaio 2011, in trasferta contro i New York Knicks. Non un caso. “È questione di essere fisici e giocare con intelligenza,” ha continuato il futuro coach di Team USA “abbiamo lasciato settantuno punti nei primi due quarti e quarantaquattro negli altri due, trenta tiri liberi contro nove. Quindi, abbiamo giocato bene per quei 24 minuti”.
Ai microfoni però è arrivato anche uno dei veterani di San Antonio, il trentasettenne Manu Ginobili: “Non so, non abbiamo giocato bene nel primo tempo, una cosa molto rara” ha esordito l’ex-Virtussino “settantuno punti all’intervallo, trenta tiri liberi, penso sia la prima volta che ci succede. Non siamo stati intelligenti e li abbiamo mandati alla linea dei liberi troppe volte. Nel secondo tempo, però, siamo stati bravi a correggerlo: una difesa molto migliore, meno falli e più aggressività". Come spesso accade con l'argentino, parole pesanti ma equilibrate, soprattutto importanti per lo spogliatoio, in un mese in cui il record dei texani recita 5-3, con tre sconfitte tutte subite in rimonta dopo essere andati avanti in doppia cifra, compresa quella di sabato scorso, inflitta dai Phoenix Suns nella tappa di Mexico City dei Global Games.
C’è da dire che un calo nelle statistiche, soprattutto per quanto riguarda la metà campo difensiva, era auspicabile, data la prima stagione senza Tim Duncan dopo i diciannove vangeli lasciati ai fedeli di San Antonio dal caraibico. Il front-office ha coperto il buco di esperienza nel reparto lunghi assoldando Pau Gasol (probabilmente il meglio sul mercato con quelle caratteristiche) ma è evidente che i due siano giocatori profondamente diversi nella testa e nel fisico. Inoltre, il campione europeo in carica con la Spagna si ritrova a dividere lo spogliatoio con sette giocatori alla prima annata in maglia Spurs, compresi quattro rookies. Insomma, un periodo di assestamento, che potrebbe durare anche un paio d’anni, è comprensibile e va accettato in quanto tale, con la pazienza che le trasformazioni di un certo calibro richiedono.
Anche perché, un “periodo di assestamento” del genere, col secondo record assoluto della Lega, appena tre gare in ritardo rispetto ai Golden State Warriors e soprattutto rispetto agli stessi Spurs dell’anno scorso, sarebbe ragionevolmente un periodo brillante in quasi tutte le altre franchigie oltreoceano. Ma la mentalità improntata da Popovich in quella che oramai è casa sua è ben chiara, e molto poco discutibile: si può sempre fare meglio. Testimone perfetto, profeta ed erede della mentalità del binomio Pop-Duncan, è Kawhi Leonard: "Dobbiamo ancora lavorare tanto. Penso che possiamo agire meglio a rimbalzo e migliorare nella difesa uno-contro-uno", le sue parole del post-game.
Il bi-difensore dell’anno rimane comunque sempre una nota azzeccata nella sinfonia di questa stagione così particolare: quarta partita consecutiva sopra la soglia dei trenta punti, eguagliato il record di franchigia proprio di Duncan (2004). Nel match contro Minnesota, l’ala da San Diego University ha saputo combinare alla grande con l’altro prospetto della casa, LaMarcus Aldridge, autore di 29 punti. Per l’ottava volta in due anni, entrambi sono andati oltre i venticinque sigilli nella stessa partita, portando a casa altrettante vittorie. “Si tratta comunque di una sola partita,” continua Leonard a questo proposito, “ma stasera ci raddoppiavano entrambi. Ma se accorciavano su di lui, io potevo liberarmi al tiro, e viceversa. Siamo stati bravi a segnare tanto, e sono felice per la vittoria. Bisogna cercare di approcciare ogni gara come una gara-7 di Finals, e non bisogna stare a pensare ai numeri: solo scendere in campo e vincere”.