Death lineup versione 2.0 (0 2017, o ancora Superdeath lineup, se preferite) dei Golden State Warriors. Ovverosia, Draymond Green, Kevin Durant, Andre Iguodala, Klay Thompson e Steph Curry contro un quintetto "tradizionale" dei Memphis Grizzlies (Gasol, Randolph, Allen, Daniels, Conley). Il risultato nel finale del quarto quarto? Un massacro. Sì, ma in favore degli uomini di David Fizdale, in grado di rimontare 24 punti dalla fine del terzo periodo in poi e di andarsi a prendere la vittoria in overtime alla Oracle Arena di Oakland. 

Steph Curry, 40 punti contro i Grizzlies. Fonte: . AP Photo/Marcio Jose Sanchez

E' solo regular season, e forse una sconfitta è più salutare di dieci vittorie con uno scarto in doppia cifra, ma il rovescio subito la notte scorsa dai californiani ha il retrogusto (amaro per la DubNation) del già visto. Non solo in gara-7 di finale 2016 contro i Cavaliers, ma anche nella sfida di Natale a Cleveland sempre contro LeBron James e compagni. Minimo comun denominatore: non riuscire a gestire i vantaggi nel quarto quarto quando le difese avversarie si fanno molto aggressive e fisiche e, soprattutto, quando il flusso di gioco dei Warriors si perde per strada. E' questo il vero significato tecnico (ma anche psicologico) della sconfitta di Golden State contro Memphis: un meccanismo apparentemente perfetto, che vive però sul filo di equilibri sottilissimi. Un crinale che da una parte può condurre a vittorie nettissime, e che dall'altra guarda da vicino l'abisso dell'autodistruzione. Già, perchè quando i Warriors smettono di muovere il pallone come sanno fare, la loro pallacanestro non diventa solo prevedibile, ma addirittura controproducente. La squadra perde elettricità, si paralizza, le palle perse si moltiplicano, e ogni tiro (che sia di Curry, Durant, Thompson o Green), diventa forzato. La difesa comincia a scendere di colpi a livello di aggressività, e possono trascorrere minuti da incubo per Kerr e i suoi, come accaduto alle Finals e come appena verificatosi nelle ultime due settimane. In tanti si sono concentrati sull'alterco tra Draymond Green e la sua panchina per la gestione del penultimo possesso dei californiani contro i Grizzlies, al fine di cercare qualche crepa nello spogliatoio, qualche frizione tra superstar, insomma per buttarla in personalismi. La sensazione è invece che il problema sia tecnico e mentale, e che le reazioni dei protagonisti in campo ne siano solo una conseguenza.

Steve Kerr durante un time-out nella partita persa contro Memphis. Noah Graham/NBAE via Getty Images

Impressione condivisa da Steve Kerr, allenatore di Golden State e uomo cui non manca certo onestà intellettuale: "Non mi è piaciuto il nostro linguaggio del corpo nel quarto quarto - le parole del coach in conferenza stampa postpartita - ed è questo l'aspetto principale. Stavamo giocando davvero bene, per tre quarti siamo stati solidi. Abbiamo trattato con cura il pallone e difeso, ma nell'ultimo periodo, quando Memphis ha iniziato il suo parziale, il nostro linguaggio del corpo è stato orribile. Non può capitare ed è ciò che mi ha dato molto fastidio. Il penultimo possesso? Avevamo Durant isolato contro Zach Randolph. Ho pensato anche a chiamare time-out, ma l'accoppiamento mi piaceva e quindi ho lasciato che l'azione continuasse. Non abbiamo eseguito bene nel quarto quarto. Forse è qualcosa che dobbiamo migliorare anche come staff tecnico, provando a mettere i ragazzi nelle migliori condizioni possibili. Riguarderemo questa partita al video e continueremo a sperimentare e a cercare soluzioni diverse. Ma la realtà è che dobbiamo chiudere meglio le partite ed eseguire in maniera diversa in attacco". Sulla stessa lunghezza d'onda Draymond Green, sul quale si è concentrato il grosso dell'attenzione mediatica dopo la sconfitta: "Il nostro quarto quarto è stato orribile dal punto di vista offensivo. Sono cose di cui la gente si accorge solo quando perdiamo, mentre io ci faccio caso anche quando vinciamo. Ecco perchè sono felice della sconfitta di oggi: ci sono molte cose da correggere e migliorare se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo, che è vincere il titolo Nba. Attualmente non siamo una squadra da titolo. Non conta vincere tutte le partite di regular season, ma piuttosto migliorare insieme ogni volta che scendiamo in campo. Purtroppo non mi sembra che ciò stia accadendo per quanto riguarda quelle cose che dobbiamo fare meglio. Quindi preferisco aver perso, perchè quando si perde generalmente poi si operano dei correttivi su ciò che non va". 

Il possesso incriminato: Kevin Durant contro Zach Randolph: Fonte: Twitter

Anche Green torna sull'ormai famigerato penultimo possesso dei regolamentari: "Non ce l'avevo con Klay, non è colpa sua. E' colpa nostra, di Steve, è colpa mia, come leader in campo. E' colpa di Steph, come nostro uomo che sceglie e indirizza i giochi. Non ci siamo più mossi in attacco, ecco perchè è colpa di tutti noi". Versione simile anche quella di Kevin Durant: "Draymond voleva un pick and roll, non mi ha detto nulla riguardo al tiro (una tripla forzata contro Randolph), se è questo quello che volete sapere". Dice la sua anche Steph Curry: "E' stato tutto un po' improvvisato. Ovviamente se KD avesse segnato quel tiro, le cose sarebbero andate in maniera diversa. Discorso che vale anche per un paio di miei tiri, ma la realtà è che quando eseguiamo con convinzione, sapendo cosa fare del pallone, con tutti i giocatori del quintetto insieme sulla stessa giocata, il risultato è diverso. Invece stavolta il nostro timing non è stato granchè, penso che ci sia stata un po' di incertezza su cosa fare in quel possesso". Tutto risolto dunque? Neanche per idea, ma aver individuato il problema - senza cercare capri espiatori - pare il primo passo verso la sua risoluzione. I Golden State Warriors si ritroveranno nuovamente in futuro in una situazione del genere (largo vantaggio e avversari che rimontano): solo allora capiremo in che modo i Dubs proveranno a riattaccare la spina del loro attacco. Possibile, anzi probabile, che - come capita spesso nello sport - per tornare a vincere, sia necessario affrontare e scacciare sul campo i fantasmi del passato. Fino a quel momento, il ricordo delle rimonte subite continuerà a bloccare testa e gambe dei californiani, costretti invece in futuro a superare difficoltà tecniche e psicologiche.