Siamo sicuri che a Miami nessuno ricordi un inizio di Regular Season così travagliato, come quello di quest'anno? Sembra passato un secolo da quando la stagione regolare, per i Miami Heat, non era altro che una formalità da sbrigare in attesa dei playoff. Oggi, dalle parti di South Beach, si vive una situazione completamente diversa, diametralmente opposta rispetto al passato, con una franchigia svuotata dell'immenso talento che possedeva fino al 2014 e dunque costretta a ridimensionare i propri obiettivi.
Gli ultimi mesi sono stati i più delicati in casa Heat. In estate c'è stata la partenza, a sorpresa, dell'uomo copertina: Dwyane Wade, dopo 13 anni e 3 titoli Nba vinti in Florida, ha lasciato Miami (generando non poche lacrime) con destinazione Chicago Bulls, per riabbracciare casa. Nemmeno il tempo di incassare il colpo, che la franchigia del proprietario Micky Arison ha dovuto registrare il forfait dell'altra stella, Chris Bosh, a causa del "solito" e "perfido" coagulo di sangue nel polpaccio. Dopo essere stato colpito da embolia polmonare qualche anno fa proprio in seguito ad un coagulo di sangue non curato perfettamente, partito dal polpaccio ed arrivato fin su al polmone, la dirigenza di Miami ha preferito, dopo numerosi esami strumentali, e dopo un accurato consulto con lo staff medico della franchigia, di interrompere il rapporto tra le parti. "Basandoci sugli ultimi esami fatti, la carriera di Chris è probabilmente finita. Chris ha una mentalità aperta e capisce la situazione, ma noi allo stato attuale delle cose dobbiamo fare un passo indietro definitivo e chiudere la questione riguardante un suo ritorno in campo con noi ". Come un fulmine a ciel sereno, il comunicato ufficiale dei Miami Heat che spazza via ogni dubbio sulla possibile reintegrazione del talento nativo di Dallas.
Un ultimo anno più che travagliato per i tifosi della Heat Nation, costretti ad essere rappresentati da una squadra con palesi limiti strutturali, e con poco talento. Attualmente la Spolestra band occupa appena la tredicesima posizione nella Eastern Conference (fanno peggio solo i Sixers ed i Nets) con un poco invidiabile record di 10 vittorie e 25 sconfitte. La "Triple A", la casa degli Heat, abituata ad essere un fortino inespugnabile, una roccaforte in cui Miami ha costruito gran parte dei suoi successi, è diventata vera e propria terra di conquista, con gli avversari autorizzati a fare razzia di qualsiasi cosa girovaghi all'interno dell'American Airlines Arena. Gli Heat "vantano" inoltre il peggior attacco dell'interna Conference (98.4 punti realizzati per ogni singolo match), il ventinovesimo nell'intera Asociation (solo i Dallas Mavericks, con 95.1 punti di media, segnano meno).
Da cosa ripartire? C'è qualcosa di positivo in questa stagione finora più che deludente? La risposta è si, ma con riserva, infortuni fisici permettendo, che stanno falcidiando il gruppo rendendolo più vulnerabile. Il roster, pesantemente ringiovanito, annovera comunque qualche giocatore, per di più giovane, davvero interessante. Uno su tutti è Hassan Whiteside, ad oggi volto della franchigia e uomo da 98 milioni di dollari in 4 anni. Il talento ex Sacramento è attualmente uno dei centri più forti e dominanti della Lega, ed assieme ad Andre Drummond dei Pistons, è uno dei migliori rimbalzisti al mondo. Su di lui Erik Spoelstra crede molto, e se dovesse affinarsi sempre di più a livello tecnico gli Heat avrebbero una bella pepita d’oro tra le mani, l'uomo franchigia su cui puntare nei prossimi anni per risalire la china.
Non solo Hassan nel materiale disposizione di coach Erik Spolestra. All'ombra del playmaker Goran Dragic, dato per partente entro la prossima deadline, si sta schiudendo finalmente il talento di Tyler Johnson che è sempre più nel vivo delle rotazioni del tecnico nativo dell'Illinois, garantendo punti ed ottima regia nel minutaggio, sempre crescente, attribuitogli. Il secondo violino offensivo, dopo il colosso Whiteside, è Justise Winslow. La 10° scelta assoluta nell' NBA draft 2015, complici i continui problemi fisici che ne stanno frenando il rendimento, è stato costretto a saltare però 17 delle 35 partite disputate sinora dalla sua squadra. Viaggia a 10.9 punti di media a partita, con 5.2 rimbalzi e 3.7 assist. Altro talento, un diamante forse ancora un pò grezzo, è il numero zero, Josh Richardson, ala che veleggia a 11.5 punti di media, assicurando quel tocco di imprevedibilità all'attacco dei suoi.
Poche luci nel buio per i Miami Heat, piccole come punte rosse dei sigari, che lasciano però speranze per il futuro. La squadra è in evoluzione, quest'anno i playoffs sono una "chimera", ma la strada per ripartire dopo l’era dei Big Three (Wade, James, Bosh) appare quella giusta. Sembra scontato, ed anche banale dirlo, ma l’importante è credere nei giovani. Keep calm Heat Nation.