Oakland, California. Rio de Janeiro, Brasile. Dallas, Texas. Sono le ultime tre fermate cestistiche di Andrew Bogut, australiano giramondo di origine slava, passato dalle Nba Finals con la maglia di Golden State a una nuova squadra come i Dallas Mavericks. In mezzo, le Olimpiadi disputate con la sua nazionale, giunta a un passo dalla medaglia di bronzo, vinta poi dalla Spagna in un accesissimo finale della sfida per il terzo posto a cinque cerchi.
Bogut, che a Oakland ha letteralmente ricostruito la sua carriera, dopo un inizio non esattamente esaltante in maglia Milwaukee Bucks, si racconta in una lunga intervista a Tim MacMahon di Espn, toccando tutti i temi del suo intenso 2016. Si parte dalla nuova destinazione, i Dallas Mavs di Mark Cuban, Dirk Nowitzki e Rick Carlisle: "Dallas è una città che mi è sempre piaciuta, ed è vero, i Warriors mi hanno lasciato la possibilità di scegliere dove andare. Ho scelto i Mavs perchè so che si tratta di una franchigia importante, dove i giocatori sono trattati benissimo e non ci sono difficoltà di inserimento. Per me è importante che ci sia uno staff competente e che si prenda cura dei giocatori, sono al dodicesimo anno di Nba, ho bisogno di lavorare con grandi professionisti". Inevitabili le domande sul recente passato a Golden State, in particolare sulla trade che lo ha coinvolto lo scorso luglio: "Fa parte del gioco, penso che l'accordo tra i Warriors e Durant fosse in cantiere da prima dell'estate. Ovviamente Durant non aveva ancora preso una decisione definitiva, ma la franchigia sapeva perfettamente cosa sarebbe successo. D'altronde, io e Andre Iguodala eravamo consapevoli del fatto che uno di noi due sarebbe dovuto andare via per far posto a KD. Ripeto, fa parte del gioco: non ho recriminazioni da quel punto di vista. I Warriors hanno preso un Hall of Famer con Durant. Fossi stato io il general manager dei Warriors, avrei fatto la stessa cosa".
Interessanti anche le parole di Bogut relative alla scorsa stagione con la maglia dei californiani: "La regular season 2015-2016 è stata molto particolare, c'era un'attenzione spasmodica nei nostri confronti, interi team di reporter al nostro seguito. Più volte mi sono trovato ad affrontare le partite di stagione regolare come se fossero gare di Finali, e tutto a causa del record. Non so quanto tutto questo abbia inciso sui nostri playoffs, ma è stato certamente un fattore durante la postseason. Il mio infortunio alle Finals? Non mi piace tornare su quella serie. Ci sono state tante cose in quelle Finali che sarebbero potute andare nella nostra direzione e che invece sono andate dalla parte opposta. D'altronde era accaduto anche a noi nella serie precedente: eravamo sotto 3-1 contro i Thunder e abbiamo recuperato grazie a un paio di partite molto equilibrate. Klay Thompson fu straordinario in gara-6 ad Oklahoma City, ma forse non avremmo neanche dovuto arrivarci in finale. Ovviamente l'infortunio contro i Cavs è stato davvero duro da digerire. Se non si fosse trattato di un problema serio al ginocchio, ci avrei giocato sopra. Poi anche Draymond Green è stato sospeso in gara-5, il che di certo non ci ha aiutato. D'un tratto abbiamo perso ritmo, ed è questo il motivo per cui i playoffs sono davvero folli, bestiali: sette gare e l'inerzia che cambia due o tre volte in una serie".
Capitolo Olimpiadi: "Non pensavo che ce l'avrei fatta a partecipare, la prognosi per il mio ritorno in campo era dalle sei alle otto settimane (a partire da fine giugno, ndr). Quindi sarei potuto rientrare solo a fine agosto, ma ho forzato i tempi per esserci. In qualche modo ce l'ho fatta, e ho giocato le prime due gare con tanta adrenalina addosso, quasi di nervi, tanto ero felice di esserci. E' stato un onore rappresentare la mia nazione per la terza volta in un'Olimpiade ma per me è stata una vera delusione non poter aiutare la squadra nelle ultime battute del torneo: non avevo più benzina nel serbatoio, è stato molto frustrante. L'Australia non aveva mai vinto una medaglia alle Olimpiadi, ma questa volta ci eravamo vicini. Solo in semifinale con la Serbia abbiamo giocato malissimo, ci hanno annichilito, ma nella finalina con la Spagna la FIBA ha voluto dire la sua. Ne sono fermamente convinto. Basta riguardare i video della gara per capirlo: i loro ultimi quattro punti sono arrivati ai liberi, e nessuno di quelli era fallo. E' stata davvero una gran delusione, anche perchè abbiamo perso la medaglia per un solo punto. Ma è inutile piangere sul latte versato, bisogna guardare avanti, anche se le prossime Olimpiadi sono molto lontane, in particolar modo per me. Nel 2020 avrò trentasei anni, mi piacerebbe esserci, ma sarò un po' vecchio. Spero quantomeno di non avere altri gravi infortuni. Per ora non penso al ritiro, ho un contratto ancora abbastanza lungo, firmato quando ero ancora ai Warriors, e un'avventura tutta da vivere con i Mavericks. Sono contento della mia carriera, ho vinto un titolo Nba e ho ottenuto alcuni riconoscimenti individuali nei primi anni a Milwaukee. Ora sono contento di essere qui, con tutto gli infortuni che ho avuto in dodici anni di Nba per me è una benedizione poter continuare a giocare. Ma ho ancora qualcosa da dare, direi per altri tre o quattro anni. Poi vedrò cosa mi riserverà la vita al di fuori della pallacanestro".