Adesso il loro ingresso nell'empireo Nba (e in quello della pallacanestro mondiale, a voler essere precisi) è definitivo. Allen Iverson, Shaquille O'Neal e Yao Ming sono stati infatti inseriti nella serata di ieri nella Hall of Fame del Naismith Memorial Basketball a Springfield, Massachusetts. Nella tradizionale cerimonia dedicata ai nuovi premiati (tra loro anche l'allenatore collegiale Tom Izzo, la giocatrice Sheryl Swopes, il proprietario dei Bulls Jerry Reinsdorf, l'arbitro Darrel Garretson, Josh McLendon, Zelmo Beaty e Cumberland Posey), gli occhi di tutti gli appassionati erano puntati sui tre giocatori Nba degli anni Novanta e del primo decennio del nuovo millennio.
Il primo a parlare è il cinese Yao Ming, ex stella degli Houston Rockets, centro scelto al Draft del 2002 con la prima chiamata. "Quando mi hanno detto che avrei parlato per primo ho pensato che qualcuno avesse commesso un errore - esordisce Yao nel suo discorso - dovrebbe cominciare Allen, io ho bisogno di un po' di allenamento...Voglio ringraziare i tifosi degli Houston Rockets, che mi hanno sempre sostenuto anche quando sono stato infortunato, ormai sono e resterò per tutta la vita un texano e un Rocket. La franchigia mi ha fatto sentire subito a casa, un grazie particolare anche a Bill Walton e Bill Russell per avermi aiutato a inserirmi nel mondo Nba. Ho avuto grandi compagni di squadra al mio fianco, che sono poi diventati anche miei amici, come Steve Francis e Tracy McGrady. Con Shaq ci siamo incrociati in diverse occasioni, e ogni volta che giocavo contro di lui capivo il significato del vecchio detto secondo cui ciò che non ti uccide ti rende più forte". Molto più emotivo invece il discorso di Allen Iverson, che in lacrime ha ringraziato il suo coach al college John Thompson "per avermi salvato la vita", spiegando come dopo una rissa che lo avevo portato alla galera ai tempi dell'high school "nessun college voleva più reclutarmi. Mia madre andò a Georgetown per convincere Thompson a darmi una possibilità. Lui lo fece e grazie a lui sono uscito dal college come un vero giocatore di basket. Poi ho incontrato Larry Brown, ho iniziato ad ascoltare le sue critiche costruttive e ho imparato tantissimo da un grandissimo coach: ecco come sono diventato un MVP".
"Anch'io, come tutti, volevo essere come Michael Jordan. La prima volta che giocammo l'uno contro l'altro io non feci altro che guardarlo per tutto il tempo. Per la prima volta nella mia vita, mi sembrava che un essere umano non fosse reale. Era come se fosse avvolto in una sorta di aurea. Non smettevo di guardarlo, di fissare le sue scarpe dicendomi "Ehi, questo è Michael!". Sì, era lui, il mio idolo, il mio eroe. Voglio ringraziare i tifosi di Philadelphia che mi hanno sempre supportato nel corso degli anni. Non mi hanno mai abbandonato, non sono mai scesi dal mio carro, si sono comportati come tutti i tifosi dovrebbero fare. Il mio rapporto con la città non è paragonabile a nient'altro. Ma voglio ringraziare anche tutti coloro i quali mi hanno sempre denigrato, mi hanno reso un uomo e un giocatore più forte". Istrionico come sua abitudine Shaquille O'Neal, che ha scherzato sulle sue difficoltà ai liberi ("Grazie a Nick Anderson per aver sbagliato quei quattro liberi consecutivi durante le mie prime Nba Finals...) prima di ricordare così i suoi anni ai Los Angeles Lakers: "Ringrazio la dirigenza gialloviola, Phil Jackson e Kobe Bryant. Kobe Bryant: un ragazzo che mi ha spinto a dare il massimo e mi ha aiutato a vincere tre titoli consecutivi. In realtà poi mi ha anche spinto fuori dalla squadra e spedito a Miami in quella famosa trade". Sul suo rapporto con Yao Ming: "Per anni, non avevo mai parlato con lui. Pensavo ci fosse una barriera linguistica con lui, finchè una volta mi fece davanti un movimento alla Hakeem Olajuwon: gli dissi "Ehi, Yao, bel movimento!" E lui: "Grazie fratello". E io: "Fermo, fermo, fermo, tu parli inglese?" Mi rispose che ovviamente parlava inglese, solo che io non gli avevo mai rivolto la parola prima di allora". Ultimo pensiero dedicato al padre scomparso: "So che è lassù a spiegare a Wilt Chamberlain che il centro più dominante della storia del gioco è stato suo figlio".