Dwyane Wade fa capire di aver accettato l'offerta dei Chicago Bulls non solo per indossare la canotta della franchigia della sua città. C'è dell'altro nella sua intenzione di tornare a casa, c'è qualcosa che con la pallacanestro c'entra poco o nulla. L'ex stella dei Miami Heat, intervistato durante la trasmissione "Good Morning America" andata in onda sulla ABC, ha svelato la sua intenzione sociale per la città dell'Illinois. In particolare, Wade si rivolge a chi è stato vittima di violenze negli ultimi anni proprio in quel di Chicago.
"Le mie intenzioni al momento di tornare a Chicago hanno qualcosa di più grande e profondo rispetto al semplice giocare a basket. Ovviamente i Bulls rappresentano una grande fetta dei miei propositi, il basket è lo sport che pratico per vivere, ma io credo che le mie intezioni siano quelle di diventare una parte della città di Chicago, di rappresentare una voce che si faccia sentire per aiutare la gente che vive qui a sentirsi più tranquilla".
Si tratta di un proposito che ha radici profonde, nella famiglia di Wade. Suo cugino Nykea Aldridge, 32enne, fu ucciso mentre era in giro per Chicago, con due uomini che lo hanno bloccato e un terzo che ha aperto il fuoco. Tutto ciò è accaduto una settimana fa, il 26 agosto in pieno pomeriggio. Aldridge, che stava portando a spasso il proprio figlio con il passeggino, secondo la polizia locale non era la persona che sarebbe dovuta finire al centro di questo efferato omicidio. Wade e sua madre hanno partecipato a una serie di forum sull'ondata di violenza che si è abbattuta su Chicago, prendendo parte anche ad alcune trasmissioni a tema.
"Abbiamo partecipato, io e mia madre, a diversi incontri in municipio - ha dichiarato Wade - . Mia madre ha preso la parola più di una volta, stiamo provando a far sentire la nostra voce, usando queste occasioni per restituire a Chicago il fascino e la luce che si è conquistata nel corso degli anni. C'è bisogno che tutti si rendano conto di poter fare qualcosa per la nostra città. Per me è stato molto duro vedere mio cugino morto in quel modo, vorrei tenere la mia famiglia distaccata dalla mia vita, ma il fatto di portare il mio stesso cognome è un peso molto grande".