Non è bastata l'Olimpiade vinta quasi da solo, soprattutto in semifinale e in finale, a Rio de Janeiro per far placare le chiacchiere su quello che potremmo già definire il trasferimento del secolo in NBA. Kevin Durant e i Golden State Warriors, un binomio che si è costituito all'inizio dell'estate e che ha fatto scendere in campo diverse personalità autorevoli nella pallacanestro a stelle e strisce. Ultima, ma non certo per importanza, Kobe Bryant. Tre mesi dopo il suo ritiro dall'attività agonistica, l'ex stella dei Los Angeles Lakers ha detto la sua in merito all'approdo di KD alla corte di coach Steve Kerr durante il "The Jim Rome Show", nota trasmissione americana alla quale era stato invitato.
Inevitabile, nel corso dell'intervista, il riferimento all'approdo di Durant nella Baia. Anche se, più che al numero 35 più famoso del mondo, Bryant si è rivolto soprattutto ai suoi competitors per la conquista dell'anello: "Non avrei una considerazione alta di me stesso se pensassi a questo trasferimento e pensassi che non è giusto. Se sei un vero agonista e giochi per vincere, l'unica cosa che può fare e puoi dire a riguardo è "OK, allacciamoci le scarpe e andiamo". A me non è mai importato quanti giocatori forti ci fossero in una sola squadra o quante formazioni bisognasse battere per vincere il titolo, l'unica cosa importante era batterli tutti".
Kobe Bryant ha parlato anche di Russell Westbrook, "abbandonato" dopo la fine della scorsa stagione prima da Ibaka e poi, per l'appunto, da Durant: "Quando accendo la TV e mi soffermo su qualche partita, il giocatore che più di tutti mi trasmette lo stesso mix di emozioni, di grinta e di intensità sul piano della competizione quando lo guardo giocare, è Russell. A lui piace la lotta, non gli importa chi va a trovare sulla sua strada e quali siano le possibilità di riuscita di una giocata. Lui fa tutto al 110%, ogni singola volta che ha il pallone in mano".