Domande sulla cosiddetta "legacy", sulla pressione, sullo stato psicologico dei suoi giocatori. La conferenza stampa della vigilia di gara-7 delle Nba Finals di Steve Kerr poteve tranquillamente essere trapiantata da una delle tante a cui è stato sottoposto LeBron James negli ultimi anni. Già, perchè dopo una stagione da 73 vittorie e una serie finale in cui si è stati sopra 3-1, la sconfitta sarebbe molto "deludente", per usare l'aggettivo individuato dallo stesso coach dei Golden State Warriors, stretto in una morsa mediatica che ben conosce.
"Se dovessimo perdere non sarebbe un fallimento - la risposta alla domanda d'esordio dei giornalisti presenti a Oakland - semmai un risultato deludente, perchè ci siamo trovati sul 3-1 e abbiamo già avuto la possibilità di chiudere i conti davanti al nostro pubblico. Ma perdere non è mai la fine del mondo. Francamente non mi interessa come verremo ricordati dopo questa stagione, ciò che voi chiamate reputations è un concetto che vale solo per la critica e fa parte di quel sistema che è l'Nba. E' una macchina che produce un sacco di soldi, fa parte del gioco. Ora si parla di tutto ciò in termini di "legacy" (eredità, lascito, ndr), ma per le persone che contano veramente - i nostri familiari, gli amici, i compagni di squadra, i membri della franchigia - non ha tutto questo interesse. Si tratta solo di cercare di vincere una partita, e ovviamente vale per entrambe le squadre. Per i media cambierà l'aspetto narrativo di questa storia, ma fa parte del gioco, lo accettiamo come abbiamo sempre fatto una volta entrati in questo mondo. La pressione? Se non si sente la pressione per una gara-7 di finali, probabilmente non si è umani. Naturalmente c'è un po' di tensione, ma siamo fortunati a sentirla. Ci sono giocatori che giocano in squadre che non disputano mai i playoffs e che certe partite le vedono in televisione per tutta la loro carriera, quindi è una bella occasione. In fondo giochiamo anche per divertirci, dovremo farlo anche domani, ma con attenzione ai dettagli: difendere meglio in transizione, non farsi sorprendere dai back-door, evitare problemi di falli, muovere la palla in attacco, aiutarsi. A questo punto della serie non c'è molto da cambiare, faremo solo un paio di aggiustamenti per domani. Iguodala? Queste ore di riposo gli hanno fatto bene, sarà pronto, lo conosciamo, sappiamo che tipo di giocatore è".
Tempestato di domande anche l'MVP della regular season Stephen Curry, nell'occhio del ciclone dopo l'espulsione di gara-6 per una reazione scomposta nei confronti degli arbitri al momento del fischio del suo sesto fallo: "Dovrò giocare la miglior partita della stagione, se non della mia carriera - le parole di Steph - quanto accaduto nell'ultima sfida è superato, ma di certo dovrò stare attento a non farmi fischiare troppi falli sin dall'inizio, è l'aspetto che mi preoccupa di più. Ci sono state molte polemiche dopo i fatti di Cleveland. Ayesha? Le ho chiesto perchè ha pubblicato quel tweet, ma sono cose che rimangono tra me e lei. Il mio lavoro è sul campo, le attenzioni su di me sono puntate per ciò che farò nei prossimi quarantotto minuti, ed è l'unica cosa che mi interessa. Però dovrei tagliare per un po' la rete Wi-Fi a casa, forse (risata generale). Credo di aver giocato quattro partite su sei ai miei livelli abituali, secondo le aspettative. Ora è necessaria un'altra prestazione di quel tipo per gara-7, è quello che fanno i grandi campioni. Domani non conterà segnare cinquanta punti, ma controllare il ritmo dell'incontro. Quando ci sarà da essere aggressivi, dovrò esserlo, in altri momenti bisognerà capire cosa fare e rimanere sotto controllo. Dovremo eseguire tutti i nostri giochi di squadra, con grande attenzione ai dettagli sui due lati del campo, insomma tutte quelle cose che servono per giocare una grande partita". Forse per la prima volta in stagione i Golden State Warriors partono da sfavoriti, altro segnale che i ruoli si sono capovolti, nonostante una regular season ai limiti della perfezione e dei playoffs esaltanti.