Da una parte la necessità di competere ai livelli più alti possibile nell'immediato per dare nuovo lustro alla franchigia, dall'altra la prospettiva di sviluppare un sistema di gioco e costruire una base solida, societaria ed anche se non soprattutto tecnica, attorno alla quale far crescere ed emergere i giovani prospetti presenti nel roster prima di completare l'organico in futuro con delle stelle affermate. In casa Los Angeles Lakers il dilemma atavico sulla decisione riguardante il futuro della franchigia torna più che mai d'attualità dopo che la lottery ha rispettato i pronostici della vigilia dando a Kupchak, ed al suo staff, l'onere ma anche l'onore di scegliere uno dei due migliori giocatori dichiaratisi eleggibili al prossimo draft.

Poco sembra cambiare dal punto di vista tecnico davanti alla possibilità di selezionare Ben Simmons piuttosto che Brandon Ingram (con quest'ultimo papabile numero uno visto che Philadelphia potrebbe andare sul fenomeno di LSU): entrambi farebbero al caso dei nuovi Los Angeles Lakers, che al momento potrebbero propendere verso il prodotto di Duke, potenzialmente un’ala piccola sul modello Kevin Durant, per colmare numericamente il vuoto lasciato da Kobe in quello slot. Tuttavia, ciò che sembra pesare maggiormente nell'ottica della formazione dei Lakers del futuro sarà la scelta della società di puntare all'immediato futuro, provando ad essere competitivi per i playoff da subito, oppure guardare alla costruzione della squadra ad ampio raggio, investendo tutto sulle stagioni venture.

Dando un rapido sguardo alla scelta del nuovo allenatore, che si siede per la prima volta su una panchina NBA da head coach, la seconda opzione sembrerebbe quella maggiormente percorribile ed anche quella più logica nell'intento di lasciare a Luke Walton il tempo necessario di formarsi con la calma necessaria e senza assilli ed ansie da prestazione. Pensare di elaborare un sistema di gioco, offensivo come difensivo, attorno al quale far crescere la folta rappresentanza di giovani presente in roster potrebbe garantire ai Lakers del futuro di attrarre un numero maggiore di free agent (Westbrook per dire un nome, nell'estate del 2017) ed una discreta possibilità di successo e competitività nel lontano futuro (due, forse tre anni).

Al contempo, trattandosi sempre di una città come Los Angeles e di una delle franchigie più vincenti della storia NBA, è inevitabile fare i conti anche con il fattore ambientale, sempre più esigente oltre che fortemente deluso dai pessimi risultati delle ultime stagioni. Pensare di scambiare la scelta attuale, assieme a qualche altra pedina, per accaparrarsi un top player (Durant, in termini di fantabasket, ma anche Butler e George) è la tentazione che ronza nella testa della dirigenza giallo-viola. È giusto mettere fretta, frenesia e pressione sulle spalle di Walton come su quelle dei giovani mettendoli davanti all’obbligo del risultato? Provare ad essere competitivi, senza avere certezza del risultato, è la strada giusta da percorrere?

Ripercorrendo le ultime versioni vincenti dei Lakers, infine, quando la franchigia giallo viola si è affidata completamente ad un giovane prospetto, ha costruito negli anni un roster degno di nota attorno a Kobe Bryant (anche se in quel caso la base di partenza della qualità del roster era notevolmente migliore), denotando come la programmazione e la lungimiranza, a breve o a lungo raggio, hanno sempre dato i frutti sperati: l’ultima vera bandiera della società vinse il primo titolo dopo quattro stagioni di percorso di formazione professionale prima di aprire il nuovo ciclo vincente.

Ai posteri, e soprattutto alla decisione di Kupchak, l’ardua sentenza.