La sconfitta dei San Antonio Spurs nella serie di semifinale playoffs contro gli Oklahoma City Thunder ha appena aperto le porte a una Finale di Western Conference in parte inattesa ma senza dubbio molto affascinante. Non esistono infatti squadre sul fronte occidentale che possano vantare il quantitativo di talento puro dei Golden State Warriors e degli stessi Thunder. Stephen Curry, Draymond Green e Klay Thompson da una parte, Kevin Durant e Russell Westbrook dall'altra. 

Golden State contro Oklahoma City è dunque già garanzia di spettacolo, a prescindere dai sistemi di gioco delle due squadre e dalle relative preferenze personali. A livello di playoffs la sfida costituisce un inedito, in quanto le due franchigie mai si erano trovate l'un contro l'altra da quando i Seattle Supersonics si sono trasferiti in quel dell'Oklahoma. Per gli uomini di Steve Kerr si tratta della seconda Finale di Conference consecutiva (l'anno scorso furono gli Houston Rockets di James Harden a cedere in cinque partite), mentre i Thunder arrivano al top dei playoffs dell'Ovest per la quarta volta negli ultimi sei anni (2011 contro i Dallas Mavericks, 2012 e 2014 contro i San Antonio Spurs e appunto in questa stagione contro i campioni in carica). Solo una vittoria però per Durant e soci, che ha consentito loro di giungere dunque alle Finals nel 2012, quando furono spazzati via dai Miami Heat di LeBron James (4-1). Questi Thunder hanno cambiato pelle rispetto a quelli di quattro anni fa: non c'è più Harden, con Westbrook che ha in mano le chiavi della squadra. Durant è ancora la superstar, mentre i vari Sefolosha e Perkins sono stati rimpiazzati dai giovani Roberson e Adams. Golden State ha invece lo stesso roster della scorsa stagione, quella del primo titolo dopo quarant'anni, anche se convive con il dubbio Bogut, in dubbio dopo l'infortunio subito nella serie contro Portland.

Source: Ronald Cortes/Getty Images North America

IL CAMMINO 

I Warriors hanno disputato una regular season da record, come ormai noto anche a chi non si interessa specificamente di pallacanestro, facendo segnare un incredibile score di 73 vittorie e 9 sconfitte, meglio dei Chicago Bulls del 1996. Pochi gli infortuni in stagione regolare per i campioni, che hanno invece dovuto fare a meno del loro allenatore Steve Kerr fino alla pausa per l'All-Star Game (rimpiazzato dal prossimo tecnico dei Lakers Luke Walton). Con Harrison Barnes partito piano ma poi salito di colpi, a impressionare sono stati il fresco MVP Steph Curry, protagonista di una stagione irreale, Klay Thompson, cresciuto in leadership e personalità, e Draymond Green, vero moto perpetuo della squadra e segreto ormai noto di Golden State. Diverso il cammino dei Thunder, che hanno dovuto metabolizzare il cambio in panchina (Billy Donovan per Scott Brooks) prima di cominciare a carburare, finendo comunque solo quarti a Ovest, alle spalle anche dei Los Angeles Clippers, perdendo peraltro molti degli scontri più attesi (0-2 con Cleveland, 0-4 con Golden State, 2-2 con San Antonio, 3-1 con i Clips). I Warriors hanno concesso solo due partite nei primi due turni di playoffs, rispettivamente contro Houston e Portland, e hanno dovuto fare a lungo a meno di Curry, rientrato per dare il colpo di grazia agli splendidi Blazers di Lillard. Thunder invece sul velluto contro i Dallas Mavericks (eccezion fatta per gara 2) e reduci dalla grande serie contro gli Spurs, vinta in sei atti.

Source: Ezra Shaw/Getty Images North America

I SISTEMI DI GIOCO 

Facilmente riconoscibile quello di Golden State, predicato sul movimento di uomini e palla. Generalmente non è Stephen Curry a partire con il pallone in mano, in quanto l'MVP viene servito solo in un secondo momento, o sugli scarichi o con un passaggio consegnato. Draymond Green è il playmaker ombra della squadra, ammesso che di playmaker si possa parlare, perchè è difficile vedere un sol uomo con il pallone tra le mani per più secondi consecutivi. La transizione dei Warriors è la vera arma letale di Kerr, alimentata dalla difesa: quando si scatena la 4X100 di Oakland ci sono tiri da tre per Curry, Thompson, Barnes e Green, oltre alla possibilità di chiudere al ferro (come dimostrato dal buon Dray nella serie contro Portland). Molti i pick and roll e non pochi i giochi in post-basso (più di quanto si creda), quasi nulli gli isolamenti. Diverso il sistema di Oklahoma City, che sfonda il più delle volte con Westbrook nei primi secondi dell'azione, altrimenti si affida a Kevin Durant, immarcabile per talento e centimetri. Caos organizzato si potrebbe affermare, ma soprattutto in difesa si tratta di una squadra che sa cosa fare, con Adams e Ibaka perni tra i lunghi e Roberson marcatore sottovalutato. Anche per i Thunder il vero punto di forza è la transizione offensiva.

I ROSTER 

Più profondo quello dei Warriors, che possono permettersi di far uscire dalla panchina Andre Iguodala, e che hanno in Livingston, Ezeli, Barbosa, Speights e Clark i primi cambi nel secondo quintetto, in cui generalmente c'è Klay Thompson come faro. Due invece i giocatori determinanti in uscita dalla panchina di Donovan: si tratta di Dion Waiters, talentuoso ma discontinuo attaccante, e di Enes Kanter, lungo turco pericolosissimo a rimbalzo e sotto il canestro avversario. Completano il roster costruito da Sam Presti giocatori di esperienza e di ruolo come Randy Foye, Kyle Singler, Nick Collison e Cameron Payne, il rookie a lungo cavalcato da Donovan come backup di Westbrook, salvo essere messo in un angolo nel finale della serie contro gli Spurs. 

Source: J Pat Carter/Getty Images North America

LE CHIAVI DELLA SERIE 

Inutile andare troppo oltre Russell Westbrook, Stephen Curry, Kevin Durant, Klay Thompson e Draymond Green: sono questi i giocatori più attesi, anche in virtù delle prestazioni offerte durante l'anno. Per Golden State probabile un accoppiamento difensivo Barnes-Durant, con Iguodala pronto a dare il cambio al giovane compagno, mentre su Westbrook dovrebbe andare in prima battuta Thompson, salvo cambiamenti a serie in corso. Non è escluso che Draymond Green possa occuparsi di Durant con il trascorrere dei minuti e della partite. Al di là delle marcature individuali (dall'altra parte probabile Roberson per Klay), sarà il ritmo il fattore decisivo della finale: i Warriors sono abituati a correre senza perdere il controllo, laddove i Thunder spesso finiscono fuori giri con Westbrook, che comunque preferisce avere campo a disposizione piuttosto che una difesa schierata da fronteggiare. Oklahoma City ha dominato a rimbalzo contro gli Spurs, ma contro Golden State quel vantaggio fisico e atletico dovrebbe venir meno. Andrew Bogut è al momento la prima contromisura contro Steven Adams, ma potrebbe farsi da parte nel caso Kerr volesse passare al quintetto con Green da centro, per costringere Donovan ad abbassare la sua squadra nei momenti cruciali delle partite.