Non è stata una normale gara di regular season, nè poteva esserlo. Quella tra San Antonio Spurs e Golden State Warriors è attuamente la principale rivalità Nba, quantomeno sul fronte occidentale. Dopo la ripassata del 25 gennaio a Oakland, i neroargento hanno voluto dare un segnale ad avversari e all'intera Lega, giocando una partita da playoff per intensità e scelte difensive, mentre Curry e compagni non sono riusciti a trovare la chiave per scardinare il pacchetto di mischia texano. E' cominciata dunque sabato notte la sfida tra scacchisti tra Gregg Popovich e Steve Kerr, con il primo costretto a cambiare il suo quintetto di partenza, lasciando fuori un gigante della pallacanestro come Tim Duncan per ovviare allo schieramento avversario con Draymond Green da centro e quattro esterni (Rush oltre a Barnes e agli immancabili Splash Brothers).

Il caraibico è stato rimpiazzato da Boris Diaw, determinante sui due lati del campo, anche se non di soli uomini e singole giocate è vissuta la sfida, decisa piuttosto dalle scelte radicali di Pop. Il coach degli Spurs ha indicato in maniera chiara alcune linee guida da seguire contro Golden State. Innanzitutto, ha deciso di impostare la sua difesa accettando ogni tipo di cambio, al punto che anche Aldridge è finito accoppiato su Curry in certe situazioni: in quei casi la consegna è stata di uscire forte su Steph per provare a oscurargli la visuale per il tiro da tre. In secondo luogo sull'Mvp è stato dirottato in prima battuta Danny Green, forse il più adatto a marcarlo per caratteristiche fisiche, mentre Parker ha preso Thompson e Leonard si è occupato di Draymond Green, vero playmaker ombra dei campioni in carica. Sul pick and roll dei Warriors, gli Spurs hanno lasciato volentieri allo stesso Green la scelta di cosa fare del pallone, se puntare il ferro o scaricare sui compagni, peraltro tenuti mirabilmente nell'uno contro uno. Altro elemento chiave, forse il principale, della strategia di Popovich è stato quello di limitare al massimo la transizione offensiva dei Warriors, per potersela giocare a difesa schierata. Per raggiungere questo obiettivo, gli Spurs hanno ridotto all'osso la fantasia in attacco, producendo isolamenti in serie per Aldridge, in modo da sfruttare l'accoppiamento favorevole con Green, Barnes e compagnia, e per Kawhi Leonard, ormai prima opzione offensiva dei neorargento.

Tony Parker è rimasto dunque ai margini dell'attacco per buona parte della gara, salvo trovare due triple importanti dall'angolo, non esattamente la specialità della casa. Le rotazioni di Popovich hanno riguardato anche Kyle Anderson, Patty Mills, David West e ovviamente Manu Ginobili, decisivo come d'abitudine. Solo otto minuti invece per Tim Duncan, evidentemente considerato una sorta di doppione di Aldridge in questa sfida, e non più in grado di fornire in attacco il contributo dell'ex giocatore di Portland. Con Parker limitatosi al compitino (pochissimi i pick and roll per il franco-belga, ancor meno quelli in cui il numero nove ha attaccato dopo il blocco), è stato Boris Diaw a gestire e smistare i palloni più importanti per i padroni di casa, che hanno trovato in Danny Green il jolly decisivo ai fini dello score finale. Chi invece non si è snaturato più di tanto è stato Steve Kerr, molto teatrale nel protestare con gli arbitri (ricevendone in cambio un fallo tecnico) e probabilmente stimolato dalla sfida a distanza con il suo ex allenatore. I Warriors hanno pagato le scarse percentuali di Curry e Thompson, dovute soprattutto alla difesa di San Antonio, ma alcuni dei tiri di Steph sarebbero potuti entrare a prescindere dall'asfissia montata su di lui. Curry non ha infatti mai trovato ritmo, ma non è da escludere che possa farlo - in condizione tattiche simili - in un'eventuale serie playoff in finale ad Ovest, anche perchè alla Oracle Arena sarà molto più difficile per gli Spurs controllare il ritmo come fatto all'AT&T Center.

Un po' come nelle scorse Nba Finals, il compito di leggere le situazioni in attacco dei californiani spetterà a Draymond Green, vero X-Factor di Golden State, mentre potrebbero vedersi con maggiore frequenza i tagli verso canestro di Klay Thompson (e anche di Harrison Barnes) per esplorare soluzioni alternative al gioco perimetrale. Sabato era assente Andrew Bogut, non per scelta tecnica ma per infortunio, e sarà da verificare se l'australiano partirà in quintetto in un'ipotetica finale di Conference. Da non sottovalutare nemmeno l'assenza di Andre Iguodala, l'uomo ovunque di Kerr, grande difensore, all'occorrenza tiratore e facilitatore in attacco, veterano che dovrebbe dare tutta un'altra dimensione ai Warriors, a differenza di Brandon Rush. Mancano due mesi alle ultime due settimane di maggio, ma le grandi manovre all'ombra dell'Alamo e sulla Baia sono già cominciate.