Sono trascorse ormai cinque stagioni da quando Carmelo Anthony è diventato un giocatore dei New York Knicks. All'epoca - correva l'anno 2011 - il prodotto da Syracuse fu accolto come il salvatore della patria newyorchese dal pubblico del Madison Square Garden, all'esito di una trade che vide coinvolti Danilo Gallinari, Raymond Felton, Wilson Chandler e Timofey Mozgov, tutti finiti a giocare con la maglia dei Denver Nuggets. Dall'esordio con i Knicks sono cambiate molte cose: allenatori (D'Antoni, Woodson, Fisher e Rambis), general manager (via Donnie Walsh), persino un presidente operativo (ruolo che spetta oggi a Phil Jackson). Ciò che non si è sostanzialmente mai modificato è stata la mediocrità di gioco e di risultati della franchigia della Grande Mela, protagonista di qualche fugace apparizione ai playoffs così come di stagioni disastrose.

E a un nuovo fallimento, quantomeno a leggere il record della Eastern Conference del 2016, non si sottrae neanche l'edizione attuale dei Knicks, costretti ad ingaggiare due giorni fa Jimmer Fredette per cercare di ampliare la qualità del reparto esterni. La pesca all'ultimo Nba Draft del rookie delle meraviglie Kristaps Porzingis aveva illuso i tifosi di New York che questo potesse essere l'anno della rinascita, dopo mesi travagliati e di pura sofferenza cestistica. Eppure neanche il lettone, che comunque costituisce un bel pezzo delle speranze future dei Knicks, è riuscito a riportare la squadra nell'èlite della lega. Troppo ampio il gap accumulato con le altre avversarie di medio livello della Eastern Conference, al punto che gli ultimi disastrosi risultati (dodici sconfitte in quattordici partite) hanno causato il cambio del guardia sulla panchina del Madison Square Garden, con Derek Fisher sostituito dal suo assistente Kurt Rambis come capo allenatore di una delle franchigie più seguite al mondo. Di questi anni di stenti Anthony fa parte a pieno titolo: la sua assoluta incapacità di rendersi disponibile a modificare parte del suo gioco (isolamenti e ancora isolamenti) non ha certo aiutato la squadra a risalire la corrente, anzi ha reso sempre più difficili i tentativi di convivenza con molti allenatori (uno su tutti, Mike D'Antoni). Eppure Melo rimane il simbolo della New York cestistica, con quel contratto da quasi 25 milioni di dollari a stagione firmato due anni fa a renderlo in tutti i sensi l'uomo da cui dipendono le fortune della sua squadra.

Dopo l'ennesima sconfitta interna con uno scarto imbarazzante - 95-122 lo score a favore dei Toronto Raptors la scorsa notte - Carmelo si è mostrato disilluso, quasi rassegnato, davanti a microfoni e telecamere: "Qui è tutto difficile. E' davvero una sfida cercare di rimanere ottimisti e positivi in mezzo a tutto ciò che ci capita. Negli ultimi anni ci sono stati tantissimi cambiamenti, quattro allenatori diversi, un gran numero di nuovo giocatori, tutto il necessario per andare in difficoltà. Il mio umore? Quando vado a casa ho bisogno di rilassarmi, di togliermi un po' pressione dalle spalle. Il nostro record, tutte queste sconfitte, sono qualcosa di difficile da accettare. Nessuno può essere soddisfatto quando si perdono così tante partite. Possiamo solo provare a metterci ancora più voglia, andare sul campo e giocare. Competere per vincere. Non penso ci sia qualcosa di particolare da fare, ma solo prenderci individualmente il peso di questa responsabilità sulle nostre spalle, accettare la sfida come gruppo e aiutarci a vicenda sul campo. Non possiamo pensare di battere nessuno se gli concediamo quasi sessanta punti nel pitturato. E'impossibile".

Già, impossibile. Come la missione di riportare in alto i Knicks in questa stagione, in cui sono ormai in pochi a credere alla qualificazione ai playoffs. Forse non ci crede nemmeno lui, Carmelo. E ora, alla soglia dei 32 anni, non è più così difficile immaginare di vederlo firmare con un'altra squadra, magari una contender, per provare a giocarsi almeno una volta in carriera la possibilità di diventare campione Nba (la finale di Conference del 2009 ad Ovest con la Denver di George Karl, persa contro i Lakers, rimane il miglior risultato ai playoff di Melo). Chissà se da uomo franchigia o come un qualsiasi veterano che insegue la gloria al tramonto della sua vita cestistica.