cecchin“Signori, io non sono d’accordo con il fatto di dover giocare anche a Natale. Perché per me questa è una festa spirituale e non commerciale. Io sono cresciuto così. Quindi voi giocatori siete autorizzati a scegliere se venire o meno a giocare la partita in programma il prossimo 25 dicembre. Vi assicuro che, se non vi presenterete, non saranno presi provvedimenti disciplinari di sorte”.
Se vi fosse mai servita una spiegazione del rapporto idiosincratico anziché no di Phil Jackson con la tradizionale partita di Natale, eccovi serviti. L’aneddoto risale agli esordi da allenatore dello ‘Zen Master’, nella CBA dei primi anni '80, tra le fila degli Albany Patroons. E, del resto, non poteva essere altrimenti: per lui, figlio di pastori luterani di origine norvegese, cresciuto in un posto in cui, oltre ad andare a messa la domenica c’era ben poco altro da fare, giocare durante la più sacra delle feste comandate era un qualcosa di sacrilego. Non la pensavano così i suoi giocatori di allora che, a quella partita, ci andarono eccome: pagati a gettone, non potevano certo permettersi di filosofeggiare sui significati etici e morali del far rimbalzare una palla sul parquet anche nel giorno della venuta al mondo di Cristo.
Quella di Jackson è solo una goccia nel mare delle storie che si sono intrecciate nella tradizione dell’ ‘Nba Christmas Day’. Che assente nella stagione d’esordio del 1946/47, fece la sua comparsa nell’anno successivo. La lega era allora composta da 11 squadre, 6 in campo il 25 dicembre: il risultato più interessante fu il 75-89 tra Providence Steamrollers e New York Knicks giocata a NY. Dimenticatevi, quindi, i lustrini dei giorni nostri, con commissioner lungimiranti che programmano appositamente le grandi partite con i giocatori di maggior richiamo: in campo ci andavano squadre random, se poi c’era anche qualche superstar ben venga. Cosa che non accadde in un freddo Natale di inizio anni '70, quando i neonati Cleveland Cavaliers si trovarono ad andare in trasferta a Cincinnati per giocare contro i Royals. Ora, fonti attendibili raccontano che passare lì le festività non sia proprio il massimo del glamour, tanto più per disputare una partita di pallacanestro dal dubbio richiamo di pubblico. E fu così che dopo un soggiorno da tregenda (con tanto di pernottamento in un hotel semivuoto e privo di ristorante e room service causa personale in ferie), i ragazzi di coach Culp si trovarono a giocare in un’arena con 11 (UNDICI) spettatori paganti. La Nba prese nota e a Natale non si giocò più. Almeno fino al 1979 quando fecero la loro comparsa sulla scena Magic Johnson e Larry Bird.
Il quale ha legato al ‘Christmas Day’ uno dei suoi più celebri episodi di trash talking. Vittima il povero Chuck Person degli Indiana Pacers che, prima della partita contro i Celtics, si sentì dire da 'Larry Legend': “Stasera voglio farti un regalo”. Che si materializzò poco dopo con Bird che, appostato sulla linea di fondo proprio accanto alla panchina sulla quale sedeva Person, ricevette e sparò la tripla dall’angolo; voltatosi senza nemmeno seguire la traiettoria del tiro urlò in faccia al malcapitato: “Merry fuckin’ Christmas!”. L’inevitabile e susseguente ‘ciuff’ contribuì a rendere l’umiliazione completa.
Come Larry sono stati tanti i grandi giocatori che hanno dato il meglio di se a Natale. Nel 1961 toccò, ovviamente, a Wilt Chamberlain, uno che c’entra sempre quando si parla di storie Nba. Quell’anno (quello, per intenderci in cui farà registrare 50 e 25.7 di media per punti e rimbalzi) i suoi Philadelphia Warriors si trovarono contrapposti ai ‘soliti’ New York Knicks al Madison Square Garden. La partita, però, cominciò in ritardo, intorno alla mezzanotte, a causa di un Chicago Packers-Detroit Pistons (disputata sempre al MSG) che va un po’ troppo per le lunghe: nessun problema per ‘The Big Dipper’ che nei successivi 48 minuti scrive 59 punti e 36 rimbalzi, la più grande doppia doppia di sempre nella storia degli 'Nba Christmas Days'. Inutile, però, perché a vincere furono gli altri.
Che è un po’ quello che capitò a Bernard King nel 1984: i suoi 60 punti (di cui 40 all’intervallo, con 19/30 al tiro e 22/26 ai liberi), infatti, non bastarono ai Knicks per aver ragione dei Nets, vittoriosi 120-114 all’overtime grazie anche ai 36 di Michael Ray Richardson.
Quel sessantello è, ancora oggi, il record di punti nella partita di Natale, ma non più il record di punti segnati nella ‘World’s Gratest Arena’: quello appartiene a Kobe Bryant che il 3 febbraio del 2009, ne mise 61 ai sodali dell’amico Spike Lee.
A proposito di Kobe. Il derby contro i Clippers sarà la sua sedicesima e ultima apparizione a Natale. Gara che, nel tempo, ha sempre apprezzato di apprezzare parecchio: non a caso è lui il leader ogni epoca per punti segnati nel ‘Christmas Day’ (383), con il picco dei 42 realizzati nella sconfitta ai supplementari contro i Miami Heat nel 2004, nel giorno del ritorno di Shaq a L.A. da avversario:
Ma la Storia, quella con la S maiuscola, di questa giornata particolare è quella che ha visto coinvolto Tracy McGrady nel 2002. Era un’America particolare quella, che si stava ancora leccando le ferite dopo l’11 settembre. E che, come oggi, si trovava a dover fare i conti con gli squilibrati armati che, senza alcun preavviso, compivano stragi terribili tra la comunità civile.
Come quella che tra l’ottobre e il novembre precedenti la partita di Natale, provocò 10 morti e 3 feriti gravi tra la Virginia e il Maryland. Il cecchino, tal John Allen Muhammad meglio noto come ‘The D.C. Sniper’ (condannato a morte nel 2003 e giustiziato nel settembre del 2009 tramite iniezione letale), aveva colpito, fortunatamente senza ucciderlo, anche un ragazzino di nome Iran Brown. Il cui idolo era, appunto, Tracy McGrady e la prima cosa che fece quando uscì dall’ospedale fu quella di andare a vedere gli Orlando Magic di T-Mac impegnati nel ‘Christmas Day’ contro i Detroit Pistons. Quella partita, in realtà, ‘The Big Sleeper’ non avrebbe nemmeno dovuto giocarla, a causa dei problemi alla schiena che già allora lo perseguitavano. Ma, una volta saputo della presenza di Iran tra il pubblico, scese in campo e scrisse 46 in 44 minuti (più 6 rimbalzi). Che, sommati ai 43 dell’anni prima e ai 41 (con 11 assist e 8 rimbalzi) di quello dopo, porta la media punti di T-Mac nel giorno di Natale a 43.3: la più alta di sempre.
E come dimenticare, poi, il ‘Christmas Day’ del 2012, quello che segnò, di fatto, l’inizio di una regular season ridotta (66 partite) dopo lo sciopero dei giocatori per il mancato rinnovo del contratto collettivo. Un tira e molla tra atleti e proprietari durato mesi, la cui felice conclusione fu salutata dalla TNT con uno dei commercial più belli di sempre:
E, sempre a proposito di pubblicità, anima del commercio anche (se non soprattutto) a Natale: la partita del 25 ha sempre visto, negli ultimi anni il lancio delle iniziative di marketing più importanti. Come quella che, nel 2013, ha riguardato le tanto discusse maglie da gioco a mezze maniche, presentate in edizione speciale natalizia con una campagna ad hoc che ha già fatto scuola:
Cosa dobbiamo aspettarci, quindi, dal ‘Christmas Day’ di quest’anno? Spettacolo. Tanto spettacolo. E non solo perché il main event è rappresentato dal primo scontro stagionale tra Warriors e Cavaliers (settima sfida natalizia tra le franchigie che si sono disputate il titolo nelle Finals precedenti). Nel giorno della partita di Natale numero 68 della storia, infatti, le cinque gare in programma (ottava volta di seguito) saranno trasmesse in 215 nazioni, in oltre 40 lingue, con un seguito di oltre 940 milioni di fan sui social media. Un evento sempre più globale, quindi, soprattutto se si considera che saranno ben 33 i giocatori non americani che scenderanno in campo, con l’Australia nelle vesti di nazione più rappresentata con ben cinque atleti.
E, obbedendo ancora una volta alla regola che vuole i migliori in campo in questo giorno particolare, 17 giocatori che hanno preso parte all’All Star Game 2015 dovrebbero scendere in campo nel ‘Christmas Day’. Fra questi Russel Westbrook, MVP dello stesso All Star Game e, ovviamente, Stephen Curry, MVP della stagione in carica. Da tenere d’occhio anche Kevin Durant: il 35 dei Thunder ha realizzato una media di 31.8 punti nelle cinque partite natalizie giocate in carriera, secondo solo a Jerry West (32.2 di media) tra i giocatori con almeno cinque match disputati.
Tanti i motivi di interesse nel derby angeleno, Bryant a parte. Con quella di venerdì, DeAndre Jordan disputerà la partita consecutiva numero 351, la più lunga striscia aperta della Nba contemporanea. Curiosità anche per quanto riguarda i due allenatori: sia Doc Rivers che Byron Scott, infatti, hanno giocato quattro partite natalizie. Attenzione anche a Heat-Pelicans: Miami (che ha in Wade il giocatore in attività secondo nella classifica per partite giocate e punti segnati il 25 dicembre, rispettivamente 10 e 285) ha vinto l’81.8% delle partite giocate nel ‘Christmas Day’ (record di 9-2), seconda miglior percentuale tra le squadre tuttora esistenti, dietro all’82.4% dei Portland Trail Blazers (14-3). Con una vittoria contro New Orleans, gli Heat passerebbero i Blazers e collezionerebbero il settimo successo consecutivo a Natale. Anthony Davis permettendo: ‘The Brow’ è alla sua prima apparizione su questo particolare palcoscenico e ci terrà a ben figurare. Soprattutto se la sua base di partenza è quella di essere l’unico giocatore nella top ten NBA per punti segnati, rimbalzi e stoppate in questa stagione.