Da quando LeBron James è entrato nella lega cestistica più importante al mondo (anno di grazia 2003, in un Draft da almanacchi sportivi), il primo giocatore di una generazione successiva a metterne in discussione il predominio è stato Stephen Curry, di circa quattro anni più giovane e capace di soffiargli il titolo Nba 2015 alle ultime Finals. D'accordo, in precedenza c'era stato (e c'è ancora, eccome se c'è) Kevin Durant, altro fenomenale esponente della classe 1988, ma mai in grado di avvicinare il Re per appeal mediatico e risultati di squadra (unica apparizione in finale nella stagione 2011-2012, conclusasi con un secco 4-1 dei Miami Heat sugli Oklahoma City Thunder).
Nati curiosamente entrambi ad Akron, Ohio, Curry e James hanno iniziato a incrociare le rispettive carriere da superstar solo da poche stagione, quelle in cui il Golden Boy dei Warriors è esploso a livelli mai raggiunti prima nella storia recente del basket a stelle e strisce. Il primo capitolo di una rivalità ancora giovane è andata in onda lo scorso giugno, quando uno Steph fresco di nomina di Mvp ha guidato la sua franchigia al titolo contro i Cleveland Cavaliers del Prescelto, concludendo con il Larry O'Brien Trophy un'eccezionale cavalcata iniziata in autunno. Ora i due si ritrovano nella partita di Natale della Oracle Arena, la sfida per eccellenza del Christmas Day versione Nba. E non sarà solo la rivincita delle ultime finali, ma soprattutto il confronto tra i due assoluti padroni della pallacanestro americana. Da una parte LeBron, probabilmente il giocatore più completo nella storia del gioco, dall'altra Steph, il folletto che ha cambiato ritmi ed emozioni con i suoi tiri e il suo controllo su compagni e avversari. Il basket rimane ovviamente uno sport di squadra, in cui i vari Kevin Love, Kyrie Irving, Klay Thompson e Draymond Green saranno chiamati a dare un contributo fondamentale nella gara di domani, ma l'attesa è tutta per quei due, Curry e James, esponenti di una rivalità che sta infiammando i cuori degli appassionati.
Entrambi potrebbero ritrovarsi in finale, quando all'atmosfera natalizia si sostituirà quella delle prime serate estive e quando in palio ci sarà molto più di un successo parziale. Ma è ancora presto per ipotecare il futuro immaginando un'altra serie tra Warriors e Cavs, anche perchè ci sono altre squadre nella lega attrezzatissime per vincere il titolo (ogni riferimento ai San Antonio Spurs è puramente voluto). Rimane però la sensazione, che va tramutandosi via via in certezza, che altri capitoli si aggiungeranno alla storia di una rivalità al momento più tecnica che mediatica, in quanto i due si rispettano e e non offrono alla stampa alcuno spunto di contrasto. Eppure è passata quasi sotto silenzio una dichiarazione di Curry di ieri, resa prima della partita tra Golden State e Utah: "Sì, mi sento il miglior giocatore al mondo. Nella mia testa lo sono di sicuro. Altrimenti non riuscirei a fare quello che faccio ogni sera". Ecco, definirsi il più forte giocatore al mondo nell'era di LeBron James è esercizio quantomeno azzardato per qualunque cestista che non si chiami - appunto - Steph Curry. In una lega in cui ci sono fuoriclasse del calibro di Russell Westbrook, Chris Paul, James Harden, Kyrie Irving, Klay Thompson Kevin Durant, Carmelo Anthony, oltre ai sempiterni Duncan, Bryant e Nowitzki, il top del top è ora ristretto a soli due giocatori, i soliti sospetti in maglia 30 e 23 delle rispettive squadre.
Il ruolo in campo è diverso, la capacità di stregare le folle medesima. Point guard versione cecchino Curry, nominalmente ala piccola James, in realtà giocatore capace di coprire praticamente le cinque posizioni di un'intera squadra. Il loro inizio di regular season è stato simile per efficacia, diverso per modalità di realizzazione. Per una volta meno scrutinato LeBron, quasi a fari spenti, anche a causa di ricorrenti problemi alla schiena che gli consigliano ancora di distillare con parsimonia ogni preziosa stilla di energia. Abbagliante invece il cammino sin qui percorso da Curry, con numeri da record e una crescente attenzione mediatica, che ha contagiato anche chi con il basket non ha tutta questa confidenza. Stesso però il risultato, essere leader indiscussi di due squadre da titolo, in due sistemi di gioco per certi versi agli antipodi e proprio per questa ragione affascinanti da vedere a contrasto. Paradossalmente, in assenza di Irving, è stato più James ad avere la palla in mano, playmaker neanche più troppo ombra di una Cleveland che pare star salendo di colpi con il passare delle settimane. Più lontano dalla palla (almeno a inizio azione) a volte Curry, cercato dai compagni in uscita dai blocchi per renderlo assolutamente devastante e sottrarlo a una marcatura face to face che potrebbe favorire i difensori. Maggior numero di isolamenti per il Re, più basket condiviso per l'Mvp. Rimangono però entrambi i catalizzatori principali dell'attenzione tanto di compagni e avversari quanto del pubblico, già diviso per la simpatia per l'uno piuttosto che per l'altro. Vederli avversari su un campo in parquet è ora un privilegio che solo l'Nba concede, in una sfida natalizia che, più che rappresentare una rivincita delle ultime Finals, costituisce un altro capitolo di una rivalità destinata a durare a lungo.