E voi siete Curryes o Westbrookers? Perché, signori miei, tocca schierarsi, scegliere da che parte stare. Stephen o Russel, Warriors o Thunder, Oakland Bay o Oklahoma City: due modi diversi di fare e interpretare la pallacanestro, principi di gioco piegati alla volontà e agli spaventosi mezzi atletici dei due deuteragonisti, due diverse scuole di pensiero attese allo scontro totale di qui alla fine della regular season e, si spera, anche oltre. E non ce ne vogliano i James Harden, i LeBron James e i Kevin Durant ma, al momento, l’impressione è che il dominio sulla lega e sul mondo, con vista sull’MVP, sia un affare privato tra il prodotto di Davidson e quello di UCLA. Che, per la gioia di tutti quanti noi, sembrano quasi sfidarsi a distanza a suon di quarantelli e triple doppie.

Ma, come detto, stare nel mezzo non si può. E allora proviamo a stabilire, nella migliore tradizione dei discorsi da bar sport, chi tra i due contendenti ci ha rubato il cuore. Magari aiutandoci con numeri e statistiche in modo da seguire il filo rosso di un discorso ragionato. Perché va bene la faziosità ma se è supportata da inequivocabili dati di fatto è meglio.

STATISTICHE GENERALI – Quelle che saltano subito all’occhio, le prime voci che si vanno a consultare sui tabellini del giorno dopo. E, da questo punto di vista, Curry è semplicemente imbarazzante. Primo nella classifica dei marcatori (33.3 punti a partita, per un totale di 333, record assoluto dopo le prime 10 partite di stagione regolare), giocando quasi sei minuti in meno rispetto al secondo James Harden (33.9 a 39.4), e in perfetta media per rimbalzi (5.3) e assist (5.6). Categoria nella quale, invece, è Westbrook a primeggiare a 10.9 di media; a fronte dei 25.6 punti (sesto marcatore assoluto) e 7.5 rimbalzi in 34.8 minuti di impiego.

COMPLETEZZA DI BASE – Da qualche tempo, in rete, gira una statistica interessante: quella, cioè, dei giocatori in attività con il maggior numero di partite con 25 e più punti, 7 e più rimbalzi, 7 e più assist. Guida, ovviamente, LeBron James a quota 192, con Westbrook quarto con 44 e Curry appena undicesimo con 17. Basterebbe questo per dire che il più completo tra i due è il figlio prediletto di Long Beach. Ovviamente no, visto che, in questo caso, si tratta di cifre che lasciano il tempo che trovano. E’ indubbio, infatti, che Westbrook per struttura fisica, mezzi atletici e capacità di incidere sui singoli momenti della partita (come dimostrato dall’irrisoria facilità con cui riesce ad andare in tripla doppia) è, probabilmente, unico nel suo genere. Ma è altrettanto vero che anche Curry, a dispetto del metro e ottanta scarso dal basso del quale domina la lega, riesce ad esprimere tutto il suo spaventoso potenziale su entrambi i lati del campo. Concedendo qualcosa soltanto dal punto di vista difensivo a causa di un fisico non sempre adatto a tenere il primo passo di playmaker fisicamente più dotati di lui. Un problema che per il numero 0 di Okc non si pone minimamente.

IMPATTO SULLA SQUADRA - Premessa: Curry e Westbrook giocano in due squadre molte diverse tra loro. Che ne esaltano e caratteristiche nelle giornate buone, e ne evidenziano i limiti in quelle meno. Il figlio di Dell è parte integrante di una macchina perfetta, il primo violino di un'orchestra che Steve Kerr riesce a dirigere alla perfezione anche dal suo letto d'ospedale: un collettivo che non si era ancora mai visto in tempi recenti. L'altro, di contro, si divide con Kevin Durant il ruolo di go to guy, di prima opzione offensiva all'interno di un sistema che, nelle rare serate di scarsa vena dei due attori principali, fatica a trovare le contromisure. Accusando qualche passaggio a vuoto anche quando i suddetti giocano con le marce alte. Che, poi, è la differenza che passa tra l'attuale 10-0 dei Warriors e il 5-3 dei Thunder.

Ciò detto diamo un'occhiata al plus/minus, il differenziale dei punti quando i nostri due eroi preferiti sono sul parquet. Entrambi rendono molto meglio in casa (16.4 Curry, 14.5 Westbrook), con il numero 30 che, però, vince il confronto relativamente al dato complessivo (15.3 a 11.2). In ogni caso il dato è spaventoso: trattandosi, infatti, di due starting five, è come se Golden State e Okc partissero con una decina di punti di vantaggio sugli avversari. Un'enormità nella Nba moderna.

SHOT CHART - Anche in quest'ambito vale la premessa di cui sopra. Al di là dei numeri, delle percentuali e delle statistiche non si può non tener conto dei diversi set offensivi contenuti nei playbook dei due coach. Sebbene siano molti i punti in comune: entrambi sono in grado di costruirsi un tiro dal palleggio, entrambi sono in grado di prendere il centro dell'area o una linea di fondo proteggendosi con il ferro, entrambi non disdegnano il gioco a due, spper in modalità differenti: pick and roll con Bogut, meglio se in transizione (il cosiddetto drag) per Curry, pick and pop con Ibaka nel ruolo di partner ideale per Westbrook.

Le cifre sono qualcosa che non si può fare nemmeno alla playstation. Partiamo da Curry. A impressionare non è tanto il 53.2% dal campo (47.3 dall'arco per 52 triple complessive mandate a bersaglio, quante ne hanno messe gli Spurs e più di tante altre squadre) quanto, piuttosto, riferire questi dati alla qualità dei tiri che l'MVP si prende ogni sera: vale a dire quasi mai in equilibrio ottimale, spesso spezzando il raddoppio e con le rotazione difensive avversarie che sono strutturate unicamente per farti prendere la conclusione nella situazione teoricamente meno vantaggiosa. Che è ciò che hanno provato a fare, per esempio, i Minnesota Timberwolves, scegliendo di mandarlo sempre e comunque sul lato destro del campo: orbene da quella posizione, in stagione, siamo sul 43%. Quasi la metà dei tiri dal lato sulla carta più debole va dentro. Quindi, non c'è da stupirsi che, andando dall'altra parte, il dato salga fino al 60.7. Ma attenzione: parliamo di conclusioni da tre. Perché, se parliamo di long two non si comincia nemmeno: 50% a destra, 66.7 a sinistra. E se, invece, decide di prendersi la penetrazione per vie centrali o il palleggio arresto e tiro dalla lunetta: 73.9% nel primo caso, 75 nel secondo. Una macchina da canestri che, rispetto al passato, ha anche cambiato abitudini rispetto al passato: meno catch and shoot (con una frequenza di poco più del 25%), maggiore sfruttamento dei pullups (47.8%), con 4.7 conclusioni mandate a bersaglio su 9.6 tentativi.

Nettamente più basse le percentuali di Westbrook (47% dal campo, 35.9 da tre) anche e soprattutto in relazione alle tipologie di tiro predilette: tanti pullups anche in questo caso (44.5%) ma ancor più conclusioni da meno di 7 metri (48.2%). Che si può tradurre anche con "penetro sempre, comunque e contro chiunque", meglio ancora se dopo sette/otto palleggi (come accade in più del 35% dei casi). Dettaglio non da poco, considerando che non sempre è la migliore scelta possibile quando hai a che fare con le migliori difese del mondo, da un punto di vista prettamente fisico. Con il rischio di stopptata, così come quello di andare a schiantarsi contro monoliti come LeBron e Howard, sempre in agguato.

Che si tratti dell'uno o dell'altro, però, il tratto comune è che nessuno dei due riesce, quasi mai, a essere wide open, cioè in una condizione di libertà tale da poter definire un tiro 'comodo', con il difensore a due metri o più: si va dal 16.1% di Curry al 14.6 di Westbrook.

COINVOLGIMENTO DEI COMPAGNI - Se si guardasse (sbagliando) unicamente al dato degli assist già sviscerato in precedenza, non ci sarebbe storia. Invece ci sono anche altri aspetti da considerare. Come, ad esempio, quelli relativi agli isolamenti. Nè Warriors, nè Thunder figurano nella top 5 delle squadre che, in percentuale, giocano più isolamenti (guidano gli Houston Rockets con 12.1, seguiti dai Lakers a 10.6, ndr). Ma Okc, però, ha due tra i giocatori che tendono a isolarsi maggiormente in questo primo scorcio di stagione: Westbrook e Durant, infatti, fino ad ora hanno giocato 46 isolamenti complessivi (23 a testa), con Russel che si ferma al 38.9% di realizzazione (56.3 per KD) in questa particolare situazione. Segno che, offensivamente parlando, a Oklahoma City non sempre va tutto come deve e coinvolgere i compagni diventa sempre più complesso, vuoi per scelta, vuoi per letture e spaziature errate da parte degli altri quattro sul parquet. Non così sotto il Golden Gate dove è il gruppo ad esaltare il singolo, senza necessità di isolarsi ad ogni possesso. E, nuovamente, ci viene in soccorso la partita con i T-Wolves: Draymond Green è andato a due rimbalzi dalla tripla doppia (23, 8 e 12 assist), nel silenzio totale degli addetti ai lavori causa quarantello del solito sospetto. Che, anche nei frequenti momenti di onnipotenza offensiva ama coinvolgere i suoi compagni: basti pensare che i Warriors sono una delle squadre che predilige maggiormente ribaltare il gioco sul lato debole; contrariamente a quanto fanno i Thunder, che sono tra chi ribalta meno di tutti. "Coincidenze? Io non credo" (cit.).

DEFENSIVE IQ - Altro particolare che spiega meglio di tante parole come si sia di fronte a due giocatori e due squadre profondamente diverse. I Thunder sono, probabilmente, la miglior difesa fisica della Nba (uno dei pochi lasciti di Scott Brooks) e la più adatta a tenere in 1 - 1 in tutti e cinque i ruoli del sistema. Con Westbrook primus inter pares nel riuscire a tenere contro l'avversario diretto, grazie ai già citati mezzi fisici fuori dall'ordinario. Capacità esperibili anche nell'applicazione di quel roaming difensivo tanto caro anche a Jordan: con Russel in giro per l'area nessuna linea di passaggio può dirsi completamete al sicuro o immune da intercetto.

I Warriors, di contro, continuano ad essere la squadra che, delle trenta, concede meno punti per singolo possesso grazie ad un'organizzazione difensiva che vuole gli esterni in grado di dirottare gli avanti altrui nel cono d'ombra degli Iguodala, dei Green, dei Barnes. Anche per ovviare ai problemi endemici di una zona che, essendo tendente alle 3-2, ha nella seconda linea il punto debole, con Bogut non sempre adatto per tenere contro l'avversario, tanto spalle quanto fronte a canestro. Non si tratta, perciò, di un Curry 'costeggiante' alla Harden, quanto piuttosto di uno che deve essere in grado di applicare pochi ma solidi principi di base: al resto pensano gli altri.

PERSONALITA' - Debordante per entrambi. Seppur in modo diverso. Curry, ormai, ha preso piena consapevolezza di quel che è: ovvero un giocatore come ne passano una volta ogni tanto, forse mai. E' in fiducia, è in ritmo, non ha l'ansia di vincere a ogni costo (quella che, per anni, ha attanagliato LeBron) ma, al contempo, vuole dimostrare che ciò che è accaduto nella stagione passata non è stato un caso. E, quindi, gioca con una determinazione e una cattiveria che ha pochi eguali nella Nba di oggi. E' il leader, sa di esserlo e non intende sottrarsi alle responsabilità che il suo ruolo impone: con i risultati che stiamo vedendo.

Westbrook si è finalmente affrancato dall'ingombrante ombra di Durant. In un percorso di crescita che va avanti dall'anno scorso quando, complice l'infortunio del 35, ha dovuto caricarsi la squadra sulle spalle, portandola a giocarsi un posto ai playoff a suon di ntriple doppie consecutive. E con l'ombra della prossima free agency che potrebbe portare l'MVP del 2012 lontano da Oklahoma City, non è escluso che siano in corso le prove generali per fare di Russel l'uomo franchigia del futuro.

Quello che c'era da dire è stato detto. Adesso tocco a voi. Da che parte state?