Avanti piano. Potrebbe essere questo lo slogan - o il mantra - di quest'estate di lavoro del frontoffice dei Boston Celtics. Il General Manager Danny Ainge, profondamente segnato da quanto accadde alla fine dell'era d'oro del gruppo dei Bird-Parrish-McHale (fine anni Ottanta - inizio anni Novanta), quando i Celtics non furono in grado di avviare un rebuilding graduale andando invece incontro ad anni di anonimato Nba, ha deciso di procedere ora step by step, varando un progetto di crescita e sviluppo graduale del lato tecnico della franchigia del Massachusetts. Ainge, che di quella Boston vincente e gloriosa era giocatore, ha voluto fortemente impedire che la conclusione del ciclo 2008-2012, griffato Pierce, Garnett e Allen con Rivers in panchina, segnasse un altro turning point negativo per la sua squadra.
L'operazione smantellamento ha dunque preso il via nel 2013 liberandosi dei maxicontratti di Pierce e Garnett, finiti due estati fa a Brooklyn in un pacchetto tutto compreso. Successivamente, consapevole che Rajon Rondo non sarebbe stato l'uomo adatto su cui fondare la ricostruzione dei nuovi Celtics, Ainge ha spedito il suo play in Texas dai Dallas Mavericks in cambio di Jay Crowder, Jameer Nelson, Brendan Wright, una prima scelta protetta al Draft 2015 e una seconda scelta in quello del 2016. In panchina si è insediato intanto il giovanissimo Brad Stevens, proveniente direttamente dall'NCAA, e Boston ha cominciato lentamente a tornare competitiva, raggiungendo i playoff della Eastern Conference nella stagione appena conclusa, eliminata al primo turno in quattro gare dai Cleveland Cavaliers di LeBron James.
L'attuale roster dei Celtics è un mix di giovinezza, talento e anarchia che rende difficile prevedere quale piega possa prendere la prossima annata Nba. Sul mercato dei free agents Ainge si è mosso con cautela, accapparrandosi per ora il solo Amir Johnson, lungo ex Raptors, firmato a 12 milioni a stagione. Completano il reparto lunghi Tyler Zeller, Jared Sullinger e Kelly Olynyk, giocatori tecnicamente validi ma ancora discontinui. Lo svedese Jonas Jerebko, pupillo di Brad Stevens, garantisce al giovane coach l'opzione di adottare uno schieramento a quattro esterni, potendo ricoprire entrambi i ruoli di numero tre e quattro. Ma il profilo più interessante pare essere rappresentato dal backcourt degli uomini in verde, con Thomas, Bradley, Smart, Crowder e Turner a giocarsi due posti in quintetto. Il rendimento di Isiah Thomas negli ultimi mesi di regular season è stato eccellente, così come quello di Jae Crowder, cresciuto in maniera esponenziale in primavera. Molto più ondivaghe invece le prestazioni di Evan Turner, talentuosissima guardia dal carattere difficile, mai esploso del tutto (seconda scelta al Draft 2010). Avery Bradley garantisce infine sostanza, difesa, intelligenza tattica e tiro da tre punti, mentre c'è ancora da lavorare su Marcus Smart, playmaker potente e atletico ma al momento da rivedere come passatore.
Il gioco dei Celtics di Brad Stevens ha colpito molti tra appassionati e addetti ai lavori. Senza una reale star Nba, Boston ha praticato nella scorsa stagione un basket di estrazione collegiale, con principi tattici lontani dagli isolamenti tanto in voga in altre squadre a stelle e strisce. I frutti del lavoro di Stevens ed Ainge si sono cominciati a vedere nel finale della regular season 2015, anche se alcuni tra i tifosi celtici lamentano una presenza blanda sul mercato dei free agents. Ma a Boston l'imperativo sembra essere uno solo: crescere anno dopo anno - step by step appunto - e continuare ad avere flessibilità nel salary cap per creare un gruppo che vada molto oltre le sensazioni effimere di un'estate Nba.