Di critiche ne sono piovute tante, soprattutto al termine di una gara 2 con numeri decisamente lontani da quelli che si erano visti nelle precedenti esibizioni, ma alla fine Stephen Curry si è ripreso ciò che si è guadagnato con grande merito durante una stagione straordinaria, e che se tutto andrà come sembra che debba andare si concluderà con il primo anello della sua carriera, e degli ultimi quarant'anni in casa Golden State Warriors.
Va ammesso con grande onestà che il numero 30 della squadra della baia non sta vincendo il "derby di Akron" contro un LeBron James che appare intenzionato a portare queste NBA Finals almeno fino al weekend, quando è prevista la disputa di gara 7. I numeri parlano di un Re che ha fatto meglio sia sul piano dei punti realizzati che su quello degli assist, ma bisogna ovviamente valutare la dimensione delle cinque gare fin qui disputate da Curry e da James. Quest'ultimo gioca buona parte di ogni singola gara praticamente da solo, complici le tante assenze che stanno falcidiando i Cavaliers, mentre il figlio di Dell decisamente più performante e affidabile, sia in attacco che in difesa. E la crescita mentale da parte di Curry si è vista soprattutto nei finali delle ultime due gare, in particolare di gara 5, in cui l'MVP dell'ultima regular season ha messo a segno un quarto periodo strepitoso: triple spettacolari, entrate nel pitturato dei Cavs senza paura e che hanno pagato grandi dividendi e altre giocate che hanno infiammato le migliaia di tifosi presenti alla Oracle Arena.
Curry ha così spazzato via il fantasma apparso in gara 2, match in cui si è vista senza alcun dubbio la peggiore esibizione dell'intera stagione del numero 30 dei Warriors. La grande difesa applicata su di lui da un superbo Dellavedova lo aveva costretto a una serata dalle percentuali pessime: Steph ha portato 19 punti alla causa di Golden State, ma tirando con 5/23 dal campo e addirittura 2/15 dalla lunga distanza, e ben sei palle perse. Da quella pessima esibizione, Curry ha reagito e ha tirato, nelle tre gare successive (due delle quali lontano da casa) con poco più del 50% dal campo, e addirittura con il 54,5% da tre punti, con il picco massimo che è stato raggiunto, per l'appunto, nel quarto periodo di gara 5. Dopo aver vissuto quasi in naftalina i primi due episodi delle Finals, dunque, Curry sembra aver deciso di prendere in mano la sua squadra e portarla verso il traguardo sognato all'inizio della stagione, e diventato concreto con il passare degli incontri, quanto tutto il mondo ha capito che i Golden State Warriors sono, per gioco espresso e spettacolo fornito in ogni singolo palazzetto d'America, la miglior squadra in circolazione in NBA.
Tra poche ore sarà gara 6, con LeBron James che vorrà dimostrare, una volta e per tutte, di essere "the best player in the world", come ha lui stesso dichiarato al termine di gara 5 per caricare i compagni e far capire di sentirsi ancora vivo. Ma dall'altra parte ci sarà lui, Wardell Stephen Curry: la classe, la fantasia e l'imprevedibilità al servizio dei Golden State Warriors, che vogliono riportare il Larry O'Brien Trophy sulla baia dopo quaranta, lunghiissimi anni.