Il North Carolina è uno dei tredici Stati fondatori degli USA. Ci troviamo nel sudest del Paese, laddove per secoli il senso d’appartenenza, tanto alla Nazione quanto alla comunità locale, ha fatto da contraltare alla povertà e agli episodi di razzismo, comuni agli stati del sud più che altrove.
Nella sua casa di Chapel Hill, un anziano signore si è appena svegliato dal torpore costrittivo della malattia, balzando in piedi sulle note dell’inno dei Tar Heels, che la banda suona tutt’oggi dopo ogni vittoria della squadra di basket dell’Università della North Carolina. Si volta verso la seconda moglie, Linnea, e le fa cenno di mettersi una mano sul petto in segno di riverenza. La demenza senile ha privato l’uomo, oltre che della ragione, di un’altra delle sue più grandi qualità, la memoria. Ma l’istinto è rimasto intatto.
L’anziano signore in questione, che passa le giornate sfogliando libri e album fotografici con lo sguardo assente di chi è stato abbandonato dalla propria mente, è conosciuto dalla storia come Coach Dean Smith. Smith ha allenato i Tar Heels di North Carolina per 36 anni, dal 1961 al 1997, diventando un’icona, una leggenda, un mentore per tanti professionisti della NBA. Poco dopo la morte, avvenuta il 7 febbraio 2015 per complicazioni dovute alla terribile malattia degenerativa da cui era affetto, uno dei più illustri alunni e giocatori di UNC, Michael Jordan, lo ha definito “il mio mentore, insegnante e secondo padre…”. Mike, come originariamente era conosciuto ai tempi del College quello che sarebbe diventato il più forte cestista di sempre, era un freshman quando, nel 1982, Coach Smith riportò a Chapel Hill il titolo di basket collegiale che mancava dal lontano 1957, sotto l’egida di Coach McGuire.
Dean Smith, la cui alma mater da studente/giocatore era l’Università del Kansas (fu il play di riserva della squadra che vinse il titolo nel 1952 sotto Coach Phog Allen), aveva ottenuto il posto di capo allenatore a UNC proprio dopo l’abbandono di McGuire. Un po’ per carenza di giocatori di livello, un po’ perché non visto di buon occhio, non essendo un ex studente dell’università, i primissimi anni di Coach Smith da Tar Heel non furono dei migliori. Come se non bastasse, il periodo storico che va dal 1964 al 1975, vide una sola grande protagonista indiscussa: i Bruins di UCLA, allenati dal rivoluzionario Coach John Wooden, che inanellarono dieci vittorie in dodici anni (uniche eccezioni, i famosi Texas Western Miners nel 1966, a cui è dedicata la pellicola Glory Road, per intenderci; e, onta difficile da digerire per UNC, i North Carolina State Wolfpack nel 1974). Ciò fu tra le principali ragioni che si frapposero tra Coach Smith e il titolo NCAA nei primi vent’anni di carriera, ma non impedì all’uomo di Emporia, Kansas, di costruire, mattone dopo mattone, uno dei più importanti programmi di basket della storia collegiale americana. Se nel 1968 UNC si era arresa proprio in finale, nettamente, a UCLA, nel 1972 si presentò alle Final Four per la quarta volta in sei anni, in quest’occasione con i favori del pronostico, data la presenza dell’ala/centro Bob McAdoo: i Tar Heels, però, furono inopinatamente sconfitti in semifinale da Florida State, regalando letteralmente il titolo ai soliti Bruins, poi vittoriosi in finale sui Seminoles.
La prima vittoria di rilievo da capo allenatore, Smith non la ottenne con UNC. Nel 1976 fu scelto per guidare la selezione statunitense ai giochi di Montreal, nazionale formata, ovviamente per l’epoca, da giocatori collegiali, quindi non professionisti. Smith guidò gli USA alla medaglia d’oro, attraverso il contributo di atleti come Phil Ford (suo giocatore a UNC), Adrian Dantley (futuro di grande livello nella NBA) Mitch Kupchak e Ernie Grunfeld (giocatori di successo nella NBA e attuali GM rispettivamente di Lakers e Wizards).
Coach dell’anno nel 1977, nonostante l’ennesima sconfitta alle Final Four (collezionerà un totale di 11 partecipazioni), Smith aveva ormai gettato definitivamente le basi per la futura gloria. Tutto ciò che gli mancava era il titolo NCAA.
La classe di talenti dei primi anni ottanta si rivelò propizia. Due atleti su tutti, James Worthy, ala piccola, futura prima scelta assoluta nel 1982 e tra i principali componenti dei Lakers dello Showtime con Magic e Jabbar, sotto la guida di Pat Riley; e Sam Perkins, ala grande, tre volte finalista NBA con tre maglie diverse (Sonics, Lakers, Pacers), furono protagonisti della scalata al torneo NCAA del 1981. Insieme a loro, Al Wood, tra i migliori durante tutta la manifestazione. All’ultimo anno con UNC, Wood avrebbe poi giocato sei stagioni nella NBA, prima di svernare all’estero. Di lui si ricorda una fugace apparizione in Italia (erano gli anni in cui molti ex pro della NBA andavano a giocare nel Belpaese, anche in serie minori), in A2 al Basket Mestre di Coach Mangano, nella sfortunata stagione ’87-’88 conclusa con la retrocessione in B1. A Montecatini, ancora ricordano i 52 punti con cui Wood tenne in partita il Mestre fino alla fine, in una gara poi vinta dai toscani 114-112 tra le più belle di sempre per la categoria.
La finale del torneo NCAA 1981 vide però trionfare gli Indiana Hoosiers di un altro Coach leggendario, Bobby Knight, il cui play era un certo Isiah Thomas, che dominò la partita e si prese gli onori destinati al miglior giocatore della competizione.
Nonostante la bruciante sconfitta, i tempi sembravano maturi. La pallacanestro team-oriented di Coach Smith aveva raggiunto ormai l’apice. Era un tipo di basket che sfruttava al massimo il cronometro a propria disposizione, alla ricerca del tiro migliore da prendere, l’antitesi del gioco rapido e individualista in voga a quel tempo nella NBA, e che la massima lega cestistica americana aveva promosso per poter rendere effettivo il distacco, in termini di spettacolo, dalla ABA. Coach Smith aveva trasmesso ai suoi giocatori l’idea che, ad ogni canestro, si dovesse rendere adeguato merito al compagno che aveva passato la palla, indicandolo nell’istante immediatamente successivo alla realizzazione.
Cosa mancava allora? UNC aveva tutto. Il miglior Coach in circolazione, il miglior giocatore del College basket (Worthy). Un eccellente senso di appartenenza alla squadra, che coinvolgeva non solo gli addetti ai lavori, ma anche i tifosi, presi com’erano dalla rivalità con l’Università di Duke (con sede a pochi passi, nella cittadina di Durham) e, in tono minore, dalla sempre competitiva North Carolina State, per la supremazia nella terribile ACC. La voglia di rivincita era enorme, dopo anni in cui i Tar Heels erano andati sempre a tanto così dal trionfo, senza mai poter assaporare il mellifluo piacere del taglio dell’ultima retina.
La stagione 1981-1982 di UNC venne preceduta da un’ottima campagna di recruiting: Smith riuscì ad assicurarsi le prestazione di uno dei locali idoli statali, tale Michael Jeffrey Jordan, che aveva mostrato tutte le sue qualità nella vicina Laney High School. Jordan aveva sostituito in quintetto base il partente Al Wood, e prometteva di essere, grazie al suo atletismo e a un affidabile jumper dalla media, l’aggiunta di cui i Tar Heels necessitavano per ricominciare la stagione tra i favoriti.
Il College basketball e, più in generale, lo sport e la società americana presa nella sua interezza, sono però caratterizzati da una forte connotazione gerarchica. Nonostante l’hype nei confronti di Jordan fosse spropositato, non era il caso di togliere spazio ai senatori della squadra a vantaggio dell’ultimo arrivato. Fu così che nella famosa copertina di Sports Illustrated sulla numero 1 del ranking collegiale, ci sono proprio Dean Smith e i suoi giocatori principali, tranne Jordan. Compaiono James Worthy, Sam Perkins, Matt Doherty e Jimmy Black sullo sfondo mentre Coach Smith disegna uno schema: “North Carolina is no.1” recita la copertina. Ed era ora di dimostrarlo.
Dopo una stagione regolare che aveva segnato la consacrazione di James Worthy (che a fine torneo vincerà anche il most outstanding player), UNC si presentava al torneo NCAA come numero uno della east region. Al secondo turno c’era di fronte la numero 9, James Madison. La partita, sulla carta agevole, si rivelerà un clamoroso quanto mancato upset, dal momento che Madison sfiorò la vittoria in più di un’occasione, arrendendosi solo 52-50.
Passato lo spavento, UNC ingrana le marce alte e batte in sequenza la n.4 Alabama e la n.3 Villanova, accedendo alle final four per la seconda volta consecutiva. Dall’altra parte gli Hoyas di Georgetown, guidati da un altro hall of famer come Coach John Thompson e dal centro di origine jamaicana Pat Ewing, sconfiggono Louisville e guadagnano il pass per la finalissima. A UNC toccano i Cougars di Houston, università messa sulla mappa del basket collegiale dalla presenza del fuoriclasse Clyde Drexler e dal giovanissimo centro nigeriano Hakeem Olajuwon. Non due qualunque. UNC vince anche questa e raggiunge gli Hoyas in finale. Piccola parentesi: I Cougars tenteranno negli anni a venire una nuova scalata, senza mai vincere il titolo collegiale (perderanno nel 1984 proprio dagli Hoyas di Ewing). Ironia dello sport, un Drexler ormai divenuto “The Glide” si riunirà a The Dream Olajuwon nel 1995, aiutandolo, anche se da comprimario, a vincere il secondo titolo dei Rockets di Rudy Tomjanovich.
“Mike, stai pronto, James sarà raddoppiato, fatti trovare nell’angolo che la palla ti arriva. Mike, metti quel tiro, devi solo fare canestro.” A meno di venti secondi dalla fine Floyd aveva riportato gli Hoyas in vantaggio di uno, sul 62-61. Coach Smith deve disegnare il gioco decisivo della gara, e da chi va? Dal freshman col 23 dietro la schiena. Smith aveva intuito che sarebbe stato difficile generare un tiro pulito per Worthy o, al massimo, Perkins, in pochi secondi. A 15 secondi dalla fine Black trova Mike nell’angolo, la difesa di Georgetown è spiazzata e il closeout è tardivo, Jordan mette il baseline jumper del sorpasso, 63-62. Più tardi, His Airness non perderà occasione per ricordare quel canestro come “il punto di svolta della carriera”. Sulla rimessa Brown combina un pasticcio, consegnando la palla a Worthy con un passaggio scellerato. Worthy va in lunetta con due secondi da giocare ma sbaglia entrambi i liberi, Georgetown non ha però timeout rimasti e l’ave maria finale serve solo per far esplodere la gioia dei Tar Heels, che vincono il secondo titolo della loro storia, il primo della gestione Smith.
Coach Smith allenerà ancora tanti campioni nella sua carriera a North Carolina, riuscendo a trionfare nuovamente nel 1993, nel corso della famosa finale contro i Fab Five dei Michigan Wolverines, quella in cui Chris Webber chiamò un timeout nonostante la sua squadra li avesse esauriti, consegnando, col conseguente fallo tecnico, la vittoria nelle mani dei Tar Heels. Ma questa è un’altra storia, quindi tenetela nel freezer perché la scongeleremo tra qualche tempo.
Dean Smith si ritira nel 1997, lasciando la squadra al suo storico assistente Bill Guthridge, che non riuscirà a ripercorrerne i fasti. Solo col ritorno a Chapel Hill di Coach Roy Williams (per dieci anni tra gli assistenti di Smith), North Carolina riuscirà a mettere in bacheca il quarto e quinto titolo NCAA della gloriosa storia del suo programma cestistico maschile.
Coach Smith entra di diritto nella storia di questo sport come uno dei più grandi allenatori mai esistiti. Nella Hall of Fame del basket dal 1983 (aveva già vinto medaglia d’oro olimpica, torneo NCAA e NIT), lascia in dotazione alla bacheca di Chapell Hill 879 vittorie (quarto ogni epoca, primo quando si ritirò), 11 apparizioni alle final four e due titoli.
Nel 2013 la moglie riceve per lui, dalle mani del Presidente Obama, la “Presidential Medal of Freedom”, la più alta onorificenza civile americana.
Il giorno del funerale, il suo rivale a Duke, Coach K, ha reso omaggio a Smith presentandosi, visibilmente commosso, con una cravatta Blue Carolina.