L'ultima di Alberto Contador. Sceglie il terreno di casa, spesso alleato, per salutare il ciclismo. La Vuelta è il giusto teatro per chiudere una carriera lunga e ricca di soddisfazioni. Una decisione improvvisa, in contro-tendenza con le prime sensazioni. L'obiettivo di spostare l'attenzione sull'annata a venire, con il Giro nei programmi. La debacle al Tour come punto di rottura, riflessione necessaria. Epilogo anticipato per non scalfire l'immaginario collettivo. Contador ascolta il suo fisico e rinuncia a un 2018 colmo di interrogativi. La scoppola francese rimescola le carte, il Pistolero alza bandiera bianca, non prima però di una recita d'autore.
Dopo due stagioni in chiaroscuro, difficile annoverare Contador tra i favoriti per un grande giro. Classe '82, paga, inevitabilmente, lo scorrere del tempo e una vita in sella dispendiosa. Il Giro d'Italia del 2015, con la celebre rincorsa sul Mortirolo dopo un problema meccanico e la crisi sul Colle delle Finestre, rappresenta l'ultimo punto di collegamento con il Contador vincente delle precedenti annate.
Altre, però, sono le variabili da considerare. Contador da tempo fatica a tenere le ruote dei primi in salita, come dimostra l'ultimo Tour, ma alla Vuelta spesso riesce a superare evidenti difficoltà sfruttando la sua capacità di lettura. La vittoria del 2012, sparigliando le carte in un tratto in falsopiano, rappresenta in questo senso un manifesto credibile. Sulle salite arcigne della Vuelta, Alberto tende ad esaltarsi. Nel 2014, dopo la fragorosa caduta al Tour, con conseguente ritiro e rapido recupero, un Giro di Spagna straordinario. Incedere elegante, regale, uno schiaffo severo a Chris Froome, in quell'edizione più volte respinto nel suo terreno di caccia. Le frullate di Chris e la danza di Alberto, incollato alla ruota del rivale e pronto a piazzare la stoccata.
La riproposizione di un simile spartito appare improbabile, per diversi motivi. Froome intende firmare una corsa più volte avvicinata in passato ed inoltre occorre rendere conto ad altri rivali. Il cast è stellare, come mai in passato. Fatta eccezione per Nairo Quintana, assente, sono al via i migliori. Aru, il cui futuro è da decifrare, e Nibali, ma anche Bardet, Chaves, i due Yates, Zakarin. Profili in grado di alterare lo sviluppo della corsa, croce e delizia per Alberto, bravo a trovare alleati lungo la strada - vedi la fuga con Landa al Tour - ma al contempo costretto a "scrutare" più ruote.
Una preparazione silenziosa quella di Contador, resta l'immagine di Francia, il braccio alzato sui Campi Elisi come commiato. Da allora, un ritorno nel guscio, sedute intense per cancellare evidenti lacune. Intorno ad Alberto, ovviamente, un brulicare di giornalisti e tifosi, resta l'icona recente del ciclismo, è il personaggio oltre i risultati, il campione che trascende il successo. Dare spettacolo, lasciare un'impronta, questa la sua missione, vincere è affar d'altri. Almeno al via.
La Trek al servizio di Contador