Il ciclista più vincente dell'ultimo biennio per quanto riguarda brevi e lunghe corse a tappe rischia di non essere il principale favorito della Vuelta a Espana edizione 2016. Un apparente paradosso per un fresco dominatore del Tour de France e medaglia olimpica (bronzo) nella prova a cronometro su strada di Rio de Janeiro. Ma proprio per questi motivi, Chris Froome, il kenyano bianco del Team Sky, dovrebbe essere in calo di rendimento nella tre settimane sulle strade spagnole.
Mai vincitore della corsa rossa, il britannico di Nairobi è però già salito due volte sul podio di Madrid. Una prima, nel 2011, quando si rivelò al grande panorama ciclistico internazionale come gregario di Bradley Wiggins, ruolo che avrebbe ricoperto fino alla fine dell'anno successivo. Una seconda, nel 2014, quando dovette arrendersi all'estro e alla maggiore tenuta in salita del suo grande rivale Alberto Contador. In mezzo, un quarto posto nel 2012 e un ritiro lo scorso anno. Probabilmente, senza gli ordini di scuderia che gli imponevano di restare agganciato a capitan Wiggo, Froome avrebbe in bacheca anche quella Vuelta del 2011, conquistata invece dal carneade spagnolo Juan Josè Cobo. A distanza di cinque stagioni, è lui il padrone incontrastato del Team Sky, che gli ha messo a disposizione una sorta di dream team all'ultimo Tour, con corridori del calibro di Mikel Landa, Wouter Poels, Mikel Nieve e Geraint Thomas a supportarlo. Nessuno di loro sarà però presente alla partenza dalla Galizia, anche se la squadra vanta elementi di valore assoluto, tra cui l'ex iridato Michal Kwiatkowski, i passisti Boswell, Puccio e Knees, e gli scalatori come Kennaugh, Lopez Garcia e Konig. A differenza del Tour, sarà più difficile per il Team Sky tenere bloccata la corsa, sia per il valore tecnico dei gregari, sia per un percorso ancora più accidentato, caratterizzato da strappi durissimi, dove risulta complicato mantenere un'andatura costante.
Froome correrà però con la consapevolezza di chi sa di aver centrato gli obiettivi stagionali. Una tappa e la classifica generale del Giro del Delfinato, due tappe e il primo gradino del podio di Parigi, un bronzo olimpico a cronometro. Al britannico è mancato solo l'acuto nella prova in linea di Rio de Janeiro, forse su un tracciato non adattissimo alle sue caratteristiche. Corridore maniacale, più simile a un robot che a un grande talento, il kenyano bianco ha provato quest'anno a togliersi da dosso l'etichetta di computer di bordo, supportato dall'ammiraglia e guidato dalla frequenza della sua pedalata e dai watt espressi in salita. Ha attaccato e vinto in discesa, è rimasto vittima di uno degli incidenti più incredibili mai avvenuti nella storia del ciclismo (memorabile la sua corsa a piedi sul Mont Ventoux), mostrando un lato più umano del semplice frullatore ormai noto a tutti gli appassionati di ciclismo. La sua partecipazione alla Vuelta è per certi versi obbligata, per dimostrare a tutti che anche lui non corre solo tre settimane l'anno per un unico obiettivo, ma resta una presenza difficile da decrittare. Difficile immaginare un Froome dominatore in casa degli spagnoli, così come pare improbabile che a trentuno anni già compiuti, questo atleta dinoccolato possa mantenere il suo picco di forma per altri venti giorni (un totale di oltre due mesi). Ecco perchè non è il favorito numero uno, ma resta comunque un punto di riferimento imprescidibile per chi vorrà portarsi a casa la maglia rossa.