Quando si ha a che fare con un campione della portata di Vincenzo Nibali, si ha quasi l'impressione di non capire fino in fondo tutto ciò che lo riguarda. E tutto nasce da un paradosso, che per chi non segue il ciclismo non è affatto nuovo. Un ragazzo nato e cresciuto a Messina, con il mare a due passi e con il mito di Totò Schillaci che prendeva pian piano forma tra gli spalti del "Giovanni Celeste", come fa ad appassionarsi alla bicicletta e soprattutto ad andare così forte in salita? Come detto, è un paradosso che si era già presentato ai tempi del mitico Marco Pantani, che partendo dalla sua Cesenatico, dalla vita notturna della riviera romagnola e da una passione smodata per il calcio, arrivò a dominare il mondo della bicicletta quando si corre con il naso all'insù. In primis, Vincenzo Nibali è questo: un uomo che ha sfidato un paradosso, dettato forse dai luoghi comuni e da un pizzico di ignoranza, e che con una certa continuità sta tenendo sotto scacco i big del ciclismo mondiale.
E quanto è accaduto in queste tre settimane clamorose e incredibili rende ancor più chiari la grandezza, il talento e la cifra morale e nervosa che da anni contraddistinguono Vincenzo Nibali. A tre giorni dalla fine del Giro d'Italia era quarto in classifica generale, a quasi cinque minuti di ritardo dal primo della classe, l'olandese Steven Kruijswijk, il quale sembrava quasi impossibile da scalfire, e con un paio di minuti da recuperare dal tarantolato colombiano Esteban Chaves. Con in mezzo l'imperturbabile Valverde, dal quale si attendeva solo la mossa giusta per vincere la partita e portare la maglia a Torino, alla sua prima vera apparizione nella corsa rosa. Ma sono bastati una manciata di ore, una tattica ai limiti della perfezione e le gambe svelte e il cervello fine di Vincenzo per mettere a segno una vera e propria impresa.
Un'impresa che nasce da un altro cervello piuttosto fine, quello di Giuseppe Martinelli. L'uomo che ha portato in trionfo gente come Claudio Chiappucci, il già citato Pantani, Gilberto Simoni e Damiano Cunego, Fabio Aru e, dulcis in fundo, Vincenzo Nibali. Quanto è stato fatto nelle ultime due tappe di montagna di questo Giro d'Italia è da consegnare agli annali dello sport. Un capolavoro di strategia, di attenzione e di atletismo che ha pochissimi eguali nella storia del ciclismo. E tutto - una volta tanto - ha girato in favore dello Squalo. Perchè se i problemi al cambio avuti durante la cronoscalata dell'Alpe di Siusi avevano fatto pensare a una maledizione, la caduta di Kruijswijk sulla discesa del Colle dell'Agnello ha in un certo senso pareggiato i conti. E se i problemi fisici che hanno portato Vincenzo a perdere un altro minuto abbondante nella tappa di Andalo sembravano il presagio di una bandiera bianca ormai pronta per essere esposta e sventolata, la crisi vissuta da Chaves nel finale della tappa di Risoul e sul Colle della Lombarda sabato pomeriggio ha ripagato Nibali e la Astana di tutti i problemi avuti a cavallo tra la seconda e la terza settimana.
E la vittoria di Vincenzo Nibali, oltre ad essere destinata a rimanere negli annali del ciclismo, oltre che nei cuori e nei cervelli di chi ci ha creduto fin dal primo colpo di pedale, vale anche per spiegare una regola aurea dello sport. "It's not over until it's over", ovvero "non è finita finchè non è finita". Il corridore siciliano ha fatto capire - ammesso che ce ne fosse bisogno - che nello sport le chiacchiere stanno a zero e che lanciarsi in sentenze e in commenti prima della fine di una competizione è un rischio che spesso porta a dei fallimenti dialettici. Specialmente quando si ha a che fare con un campione come Vincenzo Nibali. Ora il riposo, meritato in questa occasione forse come non mai. Poi la decisione in vista del Tour de France, che difficilmente lo vedrà in corsa visto che la Astana sembra intenzionata a puntare fortemente sul Cavaliere dei Quattro Mori, ovvero Fabio Aru. E poi, quasi certamente, l'assalto a quella che sarebbe la seconda Vuelta nel suo palmares, dopo quella conquistata nel 2010. Il primo sigillo in una carriera clamorosa, e con all'orizzonte la gara della vita, quella che vale l'oro alle Olimpiadi.