La novantanovesima edizione di un Giro d'Italia lungo e appassionante è ora agli archivi, con la maglia rosa finita sulle spalle del favorito numero uno della vigilia, quel Vincenzo Nibali che ha dato spettacolo negli ultimi due giorni dopo aver faticato tremendamente a trovare la miglior condizione. E' stato un Giro a lungo senza padrone, con diversi corridori succedutisi in testa alla classica generale, in un saliscendi tecnico ed emotivo che ha generato grande equilibrio, al netto di ritiri eccellenti come quelli di Mikel Landa e Tom Dumoulin.
La tre giorni d'apertura in Olanda ha consegnato agli appassionati le volate d'autore di Marcel Kittel, giovane velocista tedesco già entrato nell'èlite degli sprint di gruppo, e protagonista di due vittorie in fotocopia a Nijmegen e Arnhem.
E' stato il suo il primo volto vincente del Giro 2016, condiviso poi con l'olandese Tom Dumoulin, vicino alla definitiva consacrazione nelle grandi corse a tappe, ma poi costretto al ritiro nella seconda settimana. Di Dumoulin rimarranno impresse l'autorevolezza nella pedalata e l'azione di forza verso l'Aremogna, ma anche la crisi sull'Alpe di Poti nella tappa di Arezzo, amaro preludio a un ritiro che ha modificato prospettive e pronostici.
Il ritorno in territorio italiano è coinciso con l'affermazione decisa quale cacciatore di tappe di Diego Ulissi, talento a lungo seguito e atteso, ma mai continuo ad alti livelli. Per l'azzurro, l'augurio che si tratti solo dell'inizio di una nuova fase della sua carriera.
Al volto fresco e giovane di Kittel si è poi sostituito in volata quello arcigno e segnato dal tempo del suo connazionale Andrè Greipel, dominatore delle volate in assenza dello sprinter della Etixx-Quickstep (impressionanti le vittorie del Gorilla sui traguardi di Benevento, Foligno e Bibione).
Ma la corsa rosa ha saputo regalare emozioni anche a chi sembrava dover fare unicamente lavori di gregariato, come Gianluca Brambilla, splendido ad Arezzo e nella cronometro bagnata del Chianti, con la maglia rosa come giusto riconoscimento per tanta dedizione e applicazione.
Un Giro giovane ha poi mostrato il viso praticamente imberbe di Bob Jungels, compagno di squadra di Brambilla, in rosa per qualche giorno e titolare a Torino della maglia bianca. Forte a cronometro e con margini di miglioramento in salita, il corridore lussemburghese sembra avere un futuro luminoso davanti a sè.
Nel vorticoso alternarsi di sempre nuovi protagonisti, sono spuntati inoltre i volti, dall'espressione opposta, di Mikel Landa e Andrey Amador. Il basco, sofferente a causa di una brutta sindrome influenzale, ha dovuto abbandonare i sogni di gloria (con Mikel Nieve divenuto poi il punto di riferimento del Team Sky), mentre il costaricense si è goduto per poco il primato conquistato a Cividale del Friuli.
Da qui in poi solo grandi nomi, da Nibali che soffre sia nel tappone dolomitico di Corvara, a Valverde che va su e giù come le montagne da scalare (andamento borsistico per il murciano, male sulle Dolomiti, in ripresa all'Alpe di Siusi e ad Andalo, nuovamente in difficoltà sul Colle dell'Agnello).
Eppure, il volto che ha più caratterizzato questo Giro d'Italia è forse quello dell'olandese Steven Kruijswijk, praticamente perfetto fino a quel volo sulla neve nella discesa dalla Cima Coppi, che ne ha modificato sguardo e ambizioni, lasciando spazio al sorridente e sempre positivo colombiano Esteban Chaves, ripetutosi ad alti livelli dopo la Vuelta dello scorso settembre.
Infine, il contegno orgoglioso e fiero di Vincenzo Nibali, in grado di riscattare alla grande un Giro complicato nello spazio di due giorni, per sciogliersi in lacrime di liberazione sull'arrivo di Risoul. Nel Giro degli sguardi e dei mille volti, è stato però l'abbraccio del corridore messinese con la famiglia Chaves ad emozionare più di scatti, rimonte e volate: un gran bel gesto tra vincitore e vinti perchè, come ricordato proprio dal piccolo colombiano, si tratta in fondo di solo sport, non di drammi e tragedie da raccontare con un accanimento particolare.