Ponferrada, Spagna, Mondiale di ciclismo. Un messaggio quasi cifrato, un segno dei tempi. Il ciclismo corre a grande velocità verso l'atto iridato, in un terra, quella iberica, entusiasta per definizione. Una settimana a coronamento di una stagione di rinascita. Torna a sorridere il mondo delle due ruote, sedotto dal volto imperscrutabile di Quintana, dal giallo luminoso di Nibali, dal rosso fuoco di Alberto Contador. É la Vuelta, per tempi, se non altro, a raccontare questa seconda parte di stagione. É la Vuelta a contornare di un'aurea gloriosa Alberto VI, come amano chiamarlo, ora, in Spagna.
Contador è il simbolo del popolo, di un popolo. Una piazza, Plaza Obradoiro, stretta attorno al campione. Il campione della gente, perché Contador non ha confini. Da Pinto al Mondo, con quel volto scolpito dalla storia, quegli occhi che trasmettono voglia di primeggiare. Ha vinto, fin dal 2003 Contador, quando in maglia Once si metteva in mostra al Tour de Pologne, ma l'ultimo capitolo è certamente quello più incredibile. Una corsa contro il tempo, contro la sorte. Alberto cade lungo i tornanti del Tour e vede rompersi all'improvviso i sogni di rivincita. Si era allenato come non mai per tornare signore di Francia, nella corsa che più di ogni altra regala l'immortalità. Disattenzione, sfortuna, difficile a dirsi. Una botta tremenda, poi attimi di riflessione. Nel Contador che si rialza, osservando con volto preoccupato il ginocchio dolorante, le ferite sparse lungo il corpo, c'è già la sentenza. Risale in bicicletta, parla con l'ammiraglia, è scortato, sotto la pioggia, dai compagni. É un atto di coraggio, una sorta di momentanea ribellione, ma il destino è scritto. Si arresta pochi chilometri dopo, ma quell'atteggiamento dimesso, lento, con cui riprende la bicicletta non lascia spazio a dubbi. É una cosa seria. Frattura del piatto tibiale, contusioni multiple. Stagione finita. Mentre Nibali diventa il padrone della corsa, mentre Froome pensa alla Vuelta, Alberto torna in Spagna, a casa.
Sembra finita, non è così. Si rimette in bici e cova il grande ritorno. Corre con una sola gamba, per tenere viva una condizione stellare. Effettua controlli, sconfigge un'infezione e torna in sella. La Tinkoff inserisce il nome di Alberto tra i pre-iscritti per la Vuelta. Stupore generale, poi la conferma. Contador parte per il Giro di Spagna, obiettivo dichiarato qualche vittoria prestigiosa. Al via tanti favoriti. Quintana, forte di un avvicinamento perfetto, Froome, Valverde e Rodriguez, al top dopo un Tour di “riscaldamento”, infine Aru, reduce dal podio al Giro. La prima settimana regala subito sorprese. Contador c'è, non per partecipare. Scatta, riscatta, stuzzica i rivali. Sono salite isolate, strappi improvvisi, terreno adatto per uno con le caratteristiche di Alberto. Ma nei tapponi d'alta montagna? La gente esulta, stropiccia gli occhi. I giovani, perché in Alberto vedono un ciclismo diverso, affascinante. Una sorta di fibrillazione continua. I “vecchi”, figli di un'altra epoca, perchè in Contador vedono il passato, il ciclismo del coraggio, dell'immaginazione, lontano da computer e radioline. Pensano a Contador e si ricordano l'attacco sul Telegraphe per far saltare il Tour, il colpo di mano a Fuente Dé. Le ali di folla che accompagnano la Vuelta esaltano Albertino e lo spettacolo è la naturale conseguenza.
La svolta, strano il fato, a cronometro. Nel giorno di Froome, lo schiaffo di Contador. A Borja, Alberto mette un sigillo in rosso. Danza sull'Alto del Moncayo, mentre la pedalata altrui è affannosa, si lancia in discesa, controlla nel tratto meno favorevole. Lì inizia un'altra corsa, perché tutti riconoscono Alberto e cominciano ad avere paura. A decidere sono così i due tapponi. Alberto litiga con Valverde e Purito, teme solo Froome, perché Froome nella testa di Alberto è il Tour del 2013, quello della disfatta, del Ventoux, di un mulinare assordante capace di bloccare le gambe di Alberto. Alejandro e Joaquin si accontentano, corrono per abbuoni e podio, Alberto no, è nato per vincere. E verso La Farrapona, si accendono le polveri, si riscrive la storia recente del ciclismo. A 4 km dalla vetta Froome mulina le gambe ed è un ritorno al passato. É meno prepotente, meno prolungato, ma è uno scatto secco. Contador vola sulle ruote di Chris. Il keniano bianco non alza mai lo sguardo. Per lui è una corsa isolata, senza avversari. Solo un computer, da guardare, riverire e seguire. Contador saltella, imperscrutabile. Lo sguardo coperto dagli occhialini, ogni tanto un movimento del volto. Froome ciondola, spinge, feroce. Il secondo allungo è meno intenso e fa meno male. Lontani gli altri. Si entra nell'ultimo chilometro, Alberto si allarga e parte. É un'apoteosi, uno schiaffo al passato, alle critiche, una risposta. Vince Contador, stravince. Bastava restare lì, coperto, ma c'era qualcosa da cancellare, una macchia, un ricordo.
Solo la strada racconta di una Vuelta ancora in bilico. Solo la strada lascia aperta la porta. Il Monte Castrove incorona Aru e rilancia Froome, perchè Contador resta a ruota dei connazionali Valverde e Rodriguez per non aiutare chi, in precedenza, si era rifiutato di unirsi in un sacro vincolo di strada. E allora, con un minuto, poco più, si giunge a Puerto de Ancares. Scalata interminabile, al termine di un continuo salire verso le vette di Spagna. Per una volta lo scenario assume contorni differenti. Purito scioglie le riserve. Rischia, ed è bello. Ai meno 9 parte. Nessuno reagisce, tutti seguono il regolare treno in nero. Ad accendere le polveri sempre Froome. Questa volta è una spaventosa progressione, perché estenuante, interminabile. Contador fatica, impiega qualche metro per chiudere. Valverde ha un moto d'orgoglio, ma di colpo si stoppa. Succede quando il fuorigiri arriva a ricordarti che quella non è la tua corsa. Cambia rapporto, ma il treno a due ha preso il volo. Contador e Froome piombano su Rodriguez, Chris ripone gli occhialini, toglie le mani dal manubrio, osserva i battiti e accelera ancora. Alberto stavolta è impeccabile. Si allarga appena per far sentire presenza e classe. E poi parte, quando lo striscione racconta di una tappa ormai all'epilogo. É un assolo, assordante. Contador scandisce ogni pedalata, inebria, piace, raccoglie con un lungo respiro ogni attimo. É il ciclismo, è lo sport della fatica e dell'emozione, della strada, della gente, forse semplicemente è lo sport.