Alfredo Martini ci ha salutati. Il maestro, a 93 anni, ha spento la luce. Fiorentino, energico, una figura che ha unito il mondo del ciclismo italiano. Ha visto Coppi, Bartali, ha visto nascere e crescere Pantani. E prima di andarsene, ha rivisto un azzurro vincere in Francia, Vincenzo Nibali. E’ stato e sempre sarà il padre del ciclismo moderno, ciclista e direttore sportivo prima e commissario tecnico poi. Sotto la sua guida, dal 1975 al 1997 l’Italbici vinse ben sei titoli mondiali con Moser, Saronni, Fondriest, Argentin e due volte con Bugno, a cui vanno aggiunti sette argenti e cinque bronzi. E’ difficile racchiudere Alfredo Martini in poche parole, ne vale molte di più. 93 anni di cui 80 passati a pedalare, una vita per la bicicletta e per il ciclismo.

Il suo era un vero e proprio amore per la bicicletta, per l’attrezzo: “Un mezzo, spesso anche di lusso, per andare a lavorare. Così si sapeva che cosa volesse dire pedalare, salita e discesa, sterrato o sassi, mattina presto o sera tardi. E i corridori sentivano che la gente era vicina, partecipe, entusiasta. Oggi, un secolo dopo, la bicicletta si sta rivelando sempre più importante. È la chiave di movimento e lettura delle grandi città. Un contributo sociale. E non ha controindicazioni. Fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici, fischietta, pensa, progetta, canta, sorride. Chi va in auto, s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso: è sorriso e speranza, e merita il Nobel per la pace”. Una devozione al mondo del ciclismo, sempre vicino alla Nazionale, i CT necessitavano del suo placet prima di essere assunti. 

E’ l’uomo che ha visto passare tutti i più grandi, ha lasciato il suo ultimo testimone a Davide Cassani, nuovo timoniere della Nazionale. Un uomo con la sua stessa passione, il suo stesso amore per le due ruote. Ha avuto il tempo di vedere Nibali trionfare a Parigi, e se ne andrà con il sorriso. 

Saluti Maestro. E grazie.