The smile”. Il sorriso. Che poi sorriso non è. Questo il soprannome di Chris Horner, personaggio atipico, per certi versi divertente. Lo chiamano così per quel ghigno, perennemente stampato sul suo volto. Smorfia di piacere all'apparenza, che cela la fatica. La sofferenza del “vecchietto” americano, prossimo a compiere 42 anni. Il primo atleta a stelle e strisce a issarsi sulla Vuelta. Doma la corsa più difficile da outsider di lusso. Parte gregario e finisce campione. Zubeldia rinuncia gioco forza al ruolo di capitano della Radio Shack e la strada pone la candidatura di Chris. Las Hazallanas propone la figura antica di Horner, col caschetto, pelato, quasi vetusto, sui pedali. Sempre sui pedali, più forte di tutti gli altri. Lì per lì sembra impresa solitaria, lampo isolato, come quello al Giro di Svizzera, di tanti anni fa. Il primo successo di prestigio a 34 anni. Invece no. Comincia lì un'epopea per certi versi inspiegabile. La realtà si mescola alla fantasia, stampata tra i dubbi. Legittimi, ma per ora senza riscontri. Un onesto ciclista irrompe nella cronaca. Ciclista a scoppio ritardato Horner. Competitivo solo dopo l'approdo alla corte di Bruyneel, l'uomo di Armstrong e delle polemiche. Conquista sotto l'egida del mentore di Lance i migliori piazzamenti al Tour. Buon scalatore, nulla più. Sulle rampe spagnole diventa campione, campionissimo. Sfodera prestazioni da antologia del ciclismo. Alto de Formigal, poi l'Angliru, i capolavori di Smile. Dura lex sed lex. La legge di Horner a stroncare Nibali.

Vincenzo, profeta in patria, ha provato la magica doppietta. Dopo la crono di Tarazona, la Vuelta sembrava chiusa. Riposo, Giro di Polonia per scaldare il motore usurato da un intenso inizio di stagione, poi la volata iberica. Tutto perfetto, fino all'arrivo di Horner. Col senno di poi Nibali, non quello del Giro, ma comunque un ottimo Nibali, avrebbe potuto seguire Horner lungo l'ascesa di Las Hazallanas. Col senno di poi avrebbe potuto temporeggiare sull'Angliru. Il ciclismo ha il suo bello nell'immaginazione, nel coraggio. E allora applausi allo Squalo, guerriero indomito. Ha sofferto nell'ultima settimana, si è aggrappato alla bicicletta e a un sogno. La testa quasi appoggiata al manubrio. La testa e il cuore oltre le gambe. Non è bastato, ma poco importa. L'Italia festeggia il suo campione, che non accetta la sconfitta e parte ai 6 km dalla vetta dell'Angliru. La storia di Spagna sfidata dall'azzurro lieve della casacca Astana e dall'azzurro intenso dell'orgoglio italiano. Scatta e riscatta. Sembra guadagnare e viene ripreso. Riallunga ancora, mentre la strada sembra come alzarsi a ricacciare indietro gli scalatori coraggiosi. 23% di pendenza. La gente che invade i tornanti e spinge idealmente i corridori. Lo spettacolo delle due ruote. La maglia rossa di Horner non si stacca. Procede sui pedali, col solito passo e il solito sguardo indecifrabile. Poi all'ultimo km, poco prima, Nibali si siede esausto, ma con la consapevolezza di avere dato tutto. Il puntino rosso se ne va tra domande, incertezze e perplessità, ma sorride anche Vincenzo e non è ghigno, ma soddisfazione. Sconfitto, ma grande.

Il podio lo completa Valverde, davanti a Rodriguez. Alejandro l'attendista. Da giovane lo chiamavano “El Imbatido”, non perdeva mai. Ora è vittima della paura. La Movistar lavora, tanto, per nulla. Non parte mai Valverde, se non quando intravede lo striscione del traguardo. Piazzato eterno, senza gioia. Con lui Purito, più combattivo, ma ugualmente al palo. La Spagna delle due ruote si inchina alla bandiera americana e al tricolore azzurro. Senza Contador, scende il buio sul ciclismo spagnolo. Manca qualcosa ai due leader iberici per completare l'opera. Ottimi pittori, senza il colpo di pennello capace di trasformare un quadro buono in straordinario. Certo il leader della Katusha ci ha provato di più, con Caruso e Dani Moreno, ma poco conta. Il finale è lo stesso. Per lo scattista Rodriguez e per l'attendista Alejandro. La gioia è cosa d'altri.

L'Italia si difende con onore. Non solo Nibali nella spedizione azzurra. Ivan Basso torna grande, sconfigge i fantasmi di anni d'inferno e si riscopre protagonista in montagna. Sarebbe stata carta matta in grado di influenzare le gerarchie della corsa, ma il freddo ha sconfitto il ragazzo di Gallarate. Ipotermia e ritiro. Bene Scarponi, mai in corsa per la generale, ma sempre all'attacco. Benissimo Pozzovivo, sesto assoluto, sempre insieme ai migliori in salita, forse non ancora maturo per questi palcoscenici. Campioni bisogna esserlo sempre. Quella disattenzione che costa minuti in una tappa pianeggiante è fatale e intollerabile. I grandi corrono davanti proprio per evitare trappole e ventagli.

La sorpresa ha il volto giovane e sbarazzino di Warren Barguil. Due successi, prestigiosi. Giovane esperto delle due ruote. Carisma e carattere. Campioncino. Brilla la sua stella sui tremendi Pirenei. Brilla la sua stella nel firmamento del ciclismo.