Vilanova de Arousa-Madrid. 21 tappe per domare la torrida Spagna. L'ultimo grande Giro alle porte. La Vuelta, come antipasto Mondiale. La corsa a tappe forse meno pubblicizzata, di certo la più dura. La più difficile da interpretare. Non ha il fascino del Tour, non ha la storia del Giro, ma spesso regala più spettacolo dei suoi nobili fratelli. Il percorso, la strada, le scelte di un'organizzazione attenta allo spettacolo, ecco cosa rende grande la Vuelta, corsa difficilmente banale, mai pronosticabile. L'anno scorso Froome, Rodriguez e Valverde parevano i più forti, poi un colpo del Pistolero ha fatto saltare la corsa. Il rientro di Contador si è trasformato in festa. Festa a sorpresa, soprattutto per gli interdetti avversari. Quest'anno Contador non ci sarà. É a casa a ricaricare le pile, a pensare cosa non ha funzionato in un Tour che lo ha visto spesso alle corde, imbrigliato da gambe pesanti e condizione mediocre. Niente Contador, niente Chris Froome. Il keniano bianco, di giallo vestito, dopo Parigi ha staccato la spina. Giusto il tempo per una fugace controllatina al percorso mondiale, che intriga e affascina. Non si sa mai.. Ai blocchi di partenza mancherà anche Nairo Quintana, la rivelazione della Grand Boucle, il giovane colombiano della Movistar, talmente convinto da tentare il grande sgarbo al trono Sky. Big che lasciano, big che rilanciano. La freccia azzurra è intrisa di talento. L'Italia schiera la sua gemma più pregiata. Vincenzo Nibali, l'uomo in rosa, lo squalo dello stretto, punta a Madrid, per lanciare la sua candidatura alla corsa iridata di Firenze. Dopo il Giro, la Vuelta. Una doppietta per la storia. Percorso adatto al miglior Nibali. Mosso, nervoso, aspro. Non mancheranno gli avversari. Purito Rodriguez è salito sul podio del Tour, ha trovato condizione col passar delle tappe e nell'ultima settimana è parso il più in forma. In una corsa povera di km contro il tempo può far paura. Lui come Valverde, assetato di rivincite. Un infido ventaglio, creato ad arte da Contador, lo ha cancellato dalla classifica del Tour. Qui medita vendetta. É il capitano unico, vista l'assenza di Quintana. L'Euskaltel, che a fine anno lascerà le corse, punta sul veterano Samuel Sanchez, deludente lungo le strade italiane, cerca il riscatto casalingo. Gli outsider sono di casa nostra. Basso, rilanciato dal Giro di Polonia, dopo un anno difficile, promette battaglia. La Liquigas si affida a lui, per una sfida made in Italy con l'ex Nibali, battuto lungo le rampe polacche da un Basso versione extra lusso. Nibali, Basso e Scarponi, per una Vuelta abbracciata da una bandiera tricolore. Spagna-Italia, duello a due ruote.

 

Il percorso, il bello della Vuelta. Si parte a tutta. Una prima settimana, una prima due giorni, che rischia di essere subito fatale, a chi non interpreta bene un inizio problematico. La classica apertura soft, per velocisti, non è di marca spagnola. La condizione o si ha o non si ha. Difficile trovarla lungo il tracciato. O meglio si rischia di trovarla, quando è ormai troppo tardi. Si parte con la cronosquadre, 27,4 km da Vilanova de Arousa a Sanxenxo, ma il primo vero test è il giorno successivo. Primo arrivo in quota. Alto do Monte da Groba. Salita vera. 11 km, con pendenze fino al 10%.

 

 

Dopo una serie di tappe mosse, ma non eccessivamente dure, un muro si staglia al cospetto dei corridori al termine dell'ottava tappa. Alto de Penas Blancas. Più di 14 km di salita, punte del 12,5%. Finisce sostanzialmente qui il “tranquillo” pedalar dei presenti. Perché da qui in poi è calvario fino a Madrid. Attraverso le montagne che hanno reso grande il ciclismo e leggenda gli alfieri della bicicletta. L'Alto de Hazallanas, 18% di pendenza, e la successiva cronometro, stavolta a livello individuale, introducono il finale d'inferno. Due i momenti chiave. 14° e 15° tappa. Doppia scalata, senza ritorno. I 27 km del Port de Envalira, prima dell'ascesa finale a Collada de Gallina. E il giorno dopo 4 salite, ripide, ripidissime, più di 40 km all'insù, con arrivo in quota a Peyragudes. Qui sopravviveranno in pochi.

 

 

Ma non è finita. Con le energie ormai al lumicino, la spia rossa accesa, arrivano come mostri della strada, prima la scalata di Aramòn de Formigal, breve, ma con uno strappo al 20%, in grado di distruggere gambe affaticate da due settimane di battaglia, e infine il penultimo giorno, l'Angliru. Il simbolo della Vuelta. Il mito della montagna. Nell'immaginario collettivo associabile al Mortirolo o all'Alpe d'Huez, di cui è certamente più duro. Salite mitiche che riportano a imprese memorabili. Arriva per ultimo, come giudice supremo. Chi vuol vincere qui, deve domare l'asfalto infuocato che sembra sciogliersi sotto le ruote, il sole che lungo i tornanti sembra avvicinarsi, come a voler sconsigliare di proseguire. Chi vuol vincere qui, deve superare con la testa, i limiti naturali di un fisico stremato. Chi vuol vincere qui, deve domare l'Angliru.