Nel tennis contemporaneo, in cui i grandi giocatori riescono a rimanere competitivi ben oltre i trent'anni, Dominic Thiem, ventiquattrenne austriaco, può apparire ancora come un giovane di belle speranze. E se l'allievo di coach Bresnik è obiettivamente ancora giovane (24 anni), la sua seconda apparizione alle Atp Finals di Londra richiede, per l'immediato e per il medio periodo, un salto di qualità. Attestarsi su standard da top five non è certo una prospettiva da poco, ma per vincere i tornei che contano è necessario fare di più, soprattutto dal punto di vista tattico. Ecco perchè il Master di Thiem andrà oltre il mero risultato del round robin, ma diventerà allo stesso tempo una sorta di manifesto dei limiti e dei margini di miglioramento dell'austriaco.

Nato e cresciuto sulla terra rossa, Thiem si comporta effettivamente come un giocatore da superfici lente, anche quando il contesto tecnico richiederebbe qualcosa di diverso. Aperture amplissime di dritto e rovescio, posizione molto arretrata, ben dietro la linea di fondo, gioco basato sulla potenza dei fondamentali di rimbalzo, Thiem ha fallito quest'anno gli appuntamenti lontano dall'amata terra battuta, mostrando incertezze inquietanti sul veloce, soprattutto per uno che si candida a vincere un po' ovunque nel giro di pochissime stagioni. Il suo 2017 è stato in chiaroscuro: le difficoltà sul cemento si sono subito messe in evidenza in Australia, dove la preparazione a Melbourne è stata negativa (fuori ai quarti sia a Brisbane che a Sydney, k.o. con Evans e Dimitrov). Un po' meglio nel contesto del tre su cinque, nel primo Slam stagionale, comunque buttato via in ottavi contro David Goffin, in una partita che sembrava in controllo. Le successive due apparizioni indoor hanno confermato la tendenza degli esordi: male a Sofia, k.o. subito con Basilashvili, e solo ai quarti a Rotterdam (dopo aver battuto comunque Sascha Zverev), eliminato da un doppista come Pierre-Hugues Herbert. L'austriaco ha ritrovato invece antiche sensazioni sul rosso sudamericano, aggiudicandosi - senza perdere un set - l'Atp 500 di Rio de Janeiro, per poi saltare l'appuntamento di Buenos Aires e presentarsi sul cemento di Acapulco, dove difendeva il titolo, eliminato in quarti dal futuro vincitore Sam Querrey. Discreto a Indian Wells, out tra i migliori otto con Stan Wawrinka (fatale il tie-break del terzo set), male nel successivo Master 100 di Miami, k.o. con il giovane Borna Coric. 

La stagione sulla terra battuta è cominciata poi con uno stop inatteso a Montecarlo, ancora contro Goffin, prima di trovare ritmo sia a Barcellona che a Madrid, dimostrandosi secondo solo a Rafa Nadal sul rosso (Murray battuto in Catalogna, Dimitrov in Castilla). La rivincita sul maiorchino è arrivata a Roma, in uno splendido quarto di finale, vinto con autorevolezza, prima di fermare la sua corsa al turno successivo, contro una delle poche versioni decenti del 2017 di Novak Djokovic. Un Djokovic spazzato però via al Roland Garros, in quella che è sembrata a tutti gli effetti l'affermazione della carriera di Thiem, subito dopo regolato dal solito Nadal in semifinale. Chiusa la parentesi sul rosso, si è conclusa anche la stagione ad alti livelli dell'austriaco: male sull'erba di Halle e di Antalya, k.o. a Wimbledon in ottavi contro Tomas Berdych, addirittura disastroso sul cemento di Washington (fuori al secondo turno contro Kevin Anderson) e di Montreal, sorpreso al debutto dall'argentino Diego Schwartzman. Poi quarti a Cincinnati, k.o. addirittura con David Ferrer, prima di farsi rimontare in maniera clamorosa a New York: US Open fatali a Thiem, uscito con tantissimi rimpianti con il redivivo Juan Martin Del Potro. Il finale di stagione è stato difficilissimo: out con Guido Pella a Chengdu, fuori con Steve Johnson a Tokyo, con Viktor Troicki a Shanghai, con Richard Gasquet a Vienna e con Fernando Verdasco a Parigi-Bercy. Uno score disastroso per un top five, che non riesce a vincere due partite consecutive proprio dagli US Open, e con non pare promettere nulla di buono neanche per le Finals di Londra, che si disputeranno sull'ostico veloce indoor della O2 Arena, in una fase della stagione in cui Thiem potrebbe essere stanco per via dei tanti tornei giocati e di certo non entusiasta per gli ultimi risultati ottenuti.

Il Thiem visto nella seconda metà dell'anno è solo lontano parente dell'esplosivo giocatore ammirato nella stagione della sua consacrazione, il 2016. Non solo per le difficoltà tecniche di adattamento alla superficie veloce, ma anche per la consapevolezza di dover svoltare: a ventiquattro anni è il momento di capire che strada intraprendere e che giocatore diventare. Ancora molto in difficoltà nel comprendere come comportarsi quando la palla non rimbalza alta e non favorisce le sue grandi sbracciate da fondo, Thiem dovrà considerare le Finals come un test di fine anno, valido anche in prospettiva. Sorteggiato nel gruppo di Nadal, Dimitrov e Goffin, punta a un posto in semifinale, ma non è favorito rispetto al bulgaro (e forse neanche rispetto al belga): più che il risultato finale, conterà il suo atteggiamento, perchè dall'anno prossimo non si potrà più sbagliare. Il rischio è quello di rimanere nella generazione di mezzo, a metà strada tra i Fab Four e i Next Gen, perdendo un'occasione irripetibile.