Il 6-1 6-2 inflitto da Novak Djokovic a Rafa Nadal nella finale del torneo Atp 250 di Doha è di per sè esplicativo dell'andamento del match più atteso di queste primissime battute stagionali. Eppure il trionfo di Nole è stato per certi versi più pesante e indicativo di quanto il punteggio possa suggerire. Un Nadal dato in ripresa sulla scia dei risultati di fine 2015 e di qualche match del 2016 è stato letteralmente tramortito e messo alle corde dal numero uno al mondo, prima di arrendersi all'inarrivabile solidità del suo avversario, che sembra non avere alcun rivale neanche per il prossimo appuntamento di prestigio di Melbourne, gli amati Australian Open di cui detiene ben cinque titoli.
Eppure a inizio carriera il serbo faticava enormemente contro il maiorchino, forse più per questioni psicologiche che tecniche. Era un Djokovic ancora in evoluzione quello visto fino al 2011, convinto di essere nato nell'epoca tennistica sbagliata, in mezzo ai più acclamati Federer e Nadal. Da quattro anni a questa parte il confronto si è invece completamente ribaltato a favore di Nole, che ha cominciato a incrinare le certezze dello spagnolo prima sul cemento e poi sulla terra battuta, salvo perdere un paio di match importanti al Roland Garros, con quello smash della semifinale del 2013 ancora impresso nei suoi ricordi. Al di là di qualche sporadico rientro in carreggiata di Rafa (finale Us Open dello stesso anno), l'impressione diffusa è stata che Novak abbia via via preso le misure al rivale, un po' come un piatto della bilancia che sale a discapito dell'altro, per poi allargare il gap fino alle ultime esibizioni tra i due. Da un punto di vista tecnico Djokovic è ormai in possesso di tutte le armi necessarie per disinnescare il tennis dell'avversario. Risposta fenomenale che non soffre il servizio mancino di Nadal, superiorità nei colpi di rimbalzo, più profondi e continui di quelli del maiorchino, migliore capacità di distriscarsi nei pressi della rete, condizione atletica più brillante e soluzioni con la palla corta sono tutti punti a favore del numero uno al mondo, che con il suo eccezionale rovescio non fatica contro la traiettoria in top del dritto avversario, fino a batterlo su quello che era (e forse resta) il suo terreno preferito, lo scambio prolungato da fondo campo.
C'è poi l'elemento psicologico a rendere in questo momento abissale la differenza tra i due. Djokovic è ormai definitivamente convinto dei propri mezzi, mentre Nadal ha confessato di aver subito recentemente le tensioni derivanti da un tennis di colpo non più così efficace. Un contrasto efficacemente delineato dalla finale di Doha, in cui il serbo ha dato l'impressione di non voler concedere nulla all'avversario, scientemente demolito dall'inizio alla fine dell'incontro. E in questo c'è molto del rispetto che Nadal ancora merita, perchè continuare a batterlo severamente significa evitare che lo spagnolo possa riemergere da un down di una rivalità che si riproporrà nei prossimi mesi. Schiantare oggi Rafa per averne un vantaggio anche domani, insomma. E' questo lo spirito del rullo compressore che sta dominando il tennis maschile nelle ultime stagioni e che viaggia con il pilota automatico nel 90% delle sue partite, salvo alzare l'asticella del proprio gioco nelle occasioni più importanti, quelle in cui c'è da sollevare un trofeo o da dare un segnale agli avversari.
E' dunque un Djokovic che arriva a Melbourne con il vento in poppa, mentre Nadal torna a navigare controcorrente, consapevole di aver ritrovato parte del suo tennis, ma allo stesso tempo lontano dal giocatore che fu, per certezze mentali e difficoltà atletiche. Il maiorchino resta un lottatore inarrivabile, ma le maratone che prima lo esaltavano ora lo sfiancano - quantomeno contro Djokovic - rendendo palese la necessità di trovare una variante sul tema del palleggio prolungato ben dietro la linea di fondo. Il "vecchio" Nadal potrà ancora bastare contro il resto del mondo (Federer compreso), ma non ha più armi contro un avversario che ha ribaltato l'esito di una rivalità un tempo scontata.