La stagione del circuito Atp si è chiusa domenica scorsa con la vittoria alle Finals di Londra del numero al mondo Novak Djokovic, impostosi nell'atto conclusivo del torneo dei Maestri su Roger Federer. Il tennis maschile riserva tuttavia un'ultima appendice prima di lasciar calare il sipario sull'annata agonistica 2015. Si tratta della finalissima di Coppa Davis, che vedrà confrontarsi sulla terra rossa indoor di Gand il Belgio di David Goffin e la Gran Bretagna di Andy Murray.
Spesso bistrattata e mal tollerata negli ultimi anni dai grandi campioni del circuito, la Davis è tornata recentemente ad assumere il valore che in precedenza il mondo del tennis le riconosceva. Competizione nata da un'idea di un americano del Massachusetts, Dwight Davis - cui si deve oggi il nome della manifestazione stessa - il torneo rappresenta una delle espressioni più antiche dei confronti tra nazioni. Un po' come la Ryder Cup di golf, o la America's Cup di vela, essa fu ideata per alimentare - e testare - l'eterna rivalità sportiva tra i maestri inglesi e e gli apprendisti americani. Il primo incontro si svolse nell'anno 1900, quando gli statunitensi sorpresero nei pressi Boston i sudditi di sua Maestà, prima che l'evento assumesse una portata ben più ampia, giungendo gradualmente a ricomprendere tutte le nazioni più rappresentative del globo tennistico. Per anni - anzi decenni - riverita e onorata non solo per la sua tradizione, quanto anche per l'orgoglio di appartenenza a paesi d'elite per quanto riguarda la storia del gioco - Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Australia - la Coppa Davis ha finito poi, a cavallo tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo, per rappresentare solo una appuntamento in calendario che si andava ad aggiungere ai vari tornei dello Slam, cui i top ten decidevano di attribuire sempre maggiore importanza.
Tuttavia, con l'emergere di nazioni prima sconosciute al panorama internazionale della racchetta, come Svizzera, Serbia e Croazia, la competizione ha trovato nuovo impulso, in primis per la gloria che riservava ai nuovi vincitori (impossibile da dimenticare la finale del 2005 tra Croazia e Slovacchia), poi per l'orgoglio dei big del circuito, resisi improvvisamente conto che un trionfo in Davis avrebbe arricchito di parecchio anche un palmarès luccicante come il loro. Il primo - nell'ultima generazione di grandi campioni - ad appuntarsi al petto la medaglia al valor patrio è stato Rafa Nadal, grande protagonista dei successi della sua Spagna dal 2004 al 2011, seguito a ruota da Novak Djokovic, capace di risvegliare tutto l'orgoglio serbo nella finalissima del 2010 contro la Francia. Persino Roger Federer, mai troppo convinto dall'idea di spendere energie preziose per garantire qualcosa in più della mera permanenza nel World Group alla sua Svizzera, ha infine trovato in Stan Wawrinka il compagno ideale per tentare l'assalto all'insalatiera più famosa del mondo, riuscendo nell'impresa di assicurare ai rossocrociati la Davis del 2014, vinta sulla terra rossa di Lille contro i transalpini, ultimamente abbonati alle sconfitte in finale (tre nelle ultime tredici edizioni).
Quest'anno è toccato ad Andy Murray caricarsi sulle spalle la sua Gran Bretagna, portandola fino all'atto conclusivo del prossimo week-end contro il Belgio, allo scopo di rinverdire i fasti dei tempi di Fred Perry, ultimo campione del Regno Unito ad alzare il trofeo nel lontanissimo 1936. La Davis sta dunque attraversando una fase di transizione, in cui il suo prestigio sta richiamando i migliori tennisti del circuito a cercare una cavalcata unica, in modo tale da aggiungere un ulteriore tassello a carriere già strepitose, ma mancanti dell'acuto di squadra, quello che rende davvero orgogliose nazioni intere. Questo periodo storico della competizione coincide con l'assenza dalla scena internazionale delle squadre più titolate dell'era Open, come quelle australiane, svedesi e americane, alle prese con un difficile cambio generazionale. In particolar modo gli Stati Uniti, dopo aver a lungo snobbato la Davis ai tempi di Pete Sampras e Andre Agassi si ritrovano ora a dover combattere per rimanere all'interno del World Group, mentre rimangono costantemente competitive le scuole dell'est Europa, Repubblica Ceca in primis, con l'aggiunta delle più esotiche Argentina, Brasile e Giappone, appena affacciatesi sul palcoscenico più antico di questo sport.