Bentornato Federer. All'alba del dodicesimo Masters, allontana il crepuscolo e torna magnifico. Sconfigge Del Potro e si regala Djokovic. A Parigi-Bercy confeziona un regalo dal fiocco dorato. Vince una partita dai due volti. La domina a tratti, con un tennis figlio di un talento superiore. La riacciuffa, quando sembrava scorrere via, come tante altre volte. Perso il secondo set, non china il capo. Si guarda e risponde. Estrae da se stesso il carattere spesso dimenticato. É affermazione doppia, perché figlia del genio e della testa. É la risposta del campione alle voci e all'oblio. Per conquistare Parigi, per sognare Londra.
Federer – Del Potro. Di nuovo di fronte, vicini in classifica, rivali di campo. A Parigi, come a Basilea. Col Masters in tasca e qualcosa da dimostrare. Soprattutto Roger, capace di sconfiggere un solo top ten nel disastroso 2013. Tsonga, nei quarti di finale degli Australian Open, quasi una vita tennistica trascorsa da quel giorno. Tre sconfitte consecutive per lo svizzero contro la torre di Tandil, dopo la vittoria nella Londra olimpica. Da Basilea a Basilea. La finale appena trascorsa a testimoniare un Del Potro in stato di grazia e un Federer in risalita. Sprazzi sempre più continui del numero uno che fu. L'argentino capace di vincere prima a Tokyo e poi proprio a casa dell'elvetico. Battuto solo a Shanghai da Nole Djokovic. Qui a Parigi-Bercy in una sorta di mini torneo tra i più grandi della racchetta ancora gli sguardi a incrociarsi ai due lati del campo. E improvvisamente Federer riappare nella sua veste, impolverata dal tempo, ma sempre accecante. Quel che, nascosto nelle sabbie mobili di acciacchi e età, è sempre stato.
Il primo set è un assolo di arte tennistica. Sbaglia nulla, risponde rapido, veloce. Muovi i piedi e il pensiero. Stordisce Del Potro che annaspa, alla ricerca di alternative alla varietà infinita del genio di Basilea. Il break arriva al quarto gioco, creato da un rovescio in lungolinea che spiana la strada alla volée in allungo da applausi. Il resto è una serie di vincenti, dropshot, tagli e dritti. Un frullato di colpi condensato in un set pregno di vincenti e avaro di errori. L'argentino picchia, forte, ma correndo su e giù perde campo e parziale. 6-3. E in parte la testa. Si arrabbia con se stesso e con la racchetta. Forse un po' con Federer, che di colpo sceglie di mostrare la moneta vincente. La versione vintage. Pesa sul fisico del gigante sudamericano un torneo comunque dispendioso. La battaglia con Cilic, i tre set con Dimitrov, partite sempre strappate con orgoglio, forza e energie in abbondanza. Meno impegnativo il cammino di Roger. Un sol brivido con Anderson, prima di regolare in un'oretta Kohlschreiber.
Fino oltre la metà del secondo set lo scenario propone una trama consolidata. Federer scivola via, implacabile. Il servizio è ingiocabile e Del Potro resta aggrappato alla partita, trattenendo la fuga dello svizzero. Sembra sul punto di consegnare le armi al nemico, ma, dal nulla, tutto cambia. La metamorfosi è inattesa. Cresce l'argentino e sul più bello sbaglia Roger. Sul 5-4, Federer va al servizio per restare nel parziale. Concede un primo set point, annullato abilmente, ma sul secondo affossa in rete il dritto e permette a Juan Martin di pareggiare il conto. Strano il tennis. Strano lo sport. Un sali scendi di intensità che riapre una contesa che pareva sul punto di mostrare il suo atto definitivo. Un guerriero fino a poco prima costretto a sparacchiare, che ritrova le chiavi del match, ritorna sul rettangolo di gioco dalla porta principale.
Il terzo e decisivo set è una lotta tra titani. Quando acido lattico e stanchezza parrebbero presentare il conto, escono insospettate risorse e come due pugili Roger e Del Po picchiano a perdifiato. Uno spot d'altri tempi. Tra urla, disperazione e pugni al cielo, arriva una serie di break. Il primo è di Federer che toglie la battuta a zero all'argentino. La risposta arriva subito. Un passante meraviglioso rimette in partita la torre di Tandil. 3-3. La riscossa sudamericana finisce con quell'ultimo squillo. Perché Federer non ci sta. Mostra l'orgoglio. La tempra smarrita. Ricaccia nel baratro il suo avversario. Sfrutta i varchi, le crepe di un Del Potro boccheggiante e scappa. Trascinato da voglia e talento. Finisce 6-3, stanco, ma felice. Stanco, ma grande.
Ora il duello più bello. Federer e Djokovic. Perché Nole stronca Wawrinka. Non fatica come a Flushing Meadows. Gioca un primo set perfetto, in cui concede un solo game. Resiste al ritorno di Svizzera 2 nel secondo parziale. Annulla 4 palle break, primo di strappare il servizio al settimo gioco e volare tra i migliori quattro di Parigi. 6-1 6-4 il finale. Nole e Roger. La sfida. Non avrà le tensioni emotive dei duelli con Rafa. La ferocia di uno scontro prima di tutto mentale. Ma a livello di gioco, variabili, idee, è il meglio del panorama tennistico. Il carnet senza eguali dello svizzero contro la capacità incredibile del serbo di resistere a ogni attacco. La bilancia pende ovviamente dalla parte del Novak. Fuor di dubbio che serva un Federer extra lusso per aver partita vera. Un attaccante, un coraggioso. Un numero uno. Capace di accorciare gli scambi e forzare gli errori di Nole. Il miglior Federer.