Halle omaggia il re. Roger Federer dieci anni dopo. Si celebra la prima vittoria, datata 2003, del campione di Basilea qui al Gerry Weber Open. Festeggiamenti e poco altro. Il quarto di finale dura una quarantina di minuti. L'aria di casa non galvanizza Mischa Zverev, il primo teutonico, dei quattro presenti ancora in tabellone, a scendere in campo. 6-0 6-0. Il punteggio non lascia adito a commenti. Difficile dunque tracciare un bilancio su Roger-express. Una non-partita, che fornisce poche indicazioni. L'elvetico è apparso centrato, soprattutto col rovescio, colpo spesso chiamato in causa dal tedesco, che ha provato a scalfire le certezze dell'ex n.1, impostando una partita basata su un serve and volley feroce, per stuzzicare proprio il rovescio di Federer, talvolta non immune da passaggi a vuoto. Troppo però il gap tecnico e di ritmo e allora il match scorre via, fluido, senza difficoltà. Non resta allora che attendere test più probanti per testare la condizione del signore dell'erba, gustando intanto le pennellate che anche in allenamenti, come quello odierno, è in grado di regalare. Il passante di rovescio in corsa, sul 3-0 40-40, del primo set, è uno di quelli che David Foster Wallace, nel suo capolavoro “Il tennis come esperienza religiosa” definisce momenti Federer. Una piuma che si adagia nel campo avversario, solcando beata la rete, fino ad appoggiarsi dolcemente, poco oltre quel nastro che separa le due metà campo, seguendo traiettorie imprevedibili per i sorpresi avversari di turno.
Non un 2013 facile finora per Roger. La pausa, il rientro difficile a Madrid, sconfitto da Nishikori, la finale di Roma, senza storia, contro Nadal e infine Parigi. La resa in tre set con Tsonga, poi surclassato da Ferrer. Un Federer apatico, quasi arrendevole. Come se di colpo fossero mancati gli stimoli. La terra, quell'infida terra che rallenta gioco e idee, rende complesso ogni punto, l'ha in un certo senso sempre “odiata”, nonostante il 2009 lo abbia consegnato agli annali, con la gloria del Philippe Chatrier. Ora arriva l'erba, il suo giardino. E servono risposte. Semplici. Apparso lento, spesso in ritardo. Deve spiegare, racchetta alla mano, se è un fattore mentale, o un normale appannamento fisico, normale alla non più verde età di Roger. Se quel dritto, principe, artefice di mirabili vittorie, e ora scomposto e fuorigiri, sia sinonimo di resa, seppur non incondizionata, o di un passaggio a vuoto più prolungato del solito. Mostrare insomma, se due set su tre, più difficile tre set su cinque, sia ancora in grado non solo di sorprenderci e lasciarci estasiati a rimirare un colpo di genio, ma anche di alzare trofei. I prati di Halle paiono l'habitat perfetto. Precursori di quel Centre Court che lo ha visto crescere. Popolato di inglesi eleganti, che attendono la salita al proscenio della sua grazia tennistica. Nel paese dei lord, aspettano il lord del tennis.
Ma prima di Wimbledon, la semifinale. Impegno non certo agevole come i due affrontati finora. Sulla carta possibile una rivincita della finale dello scorso anno contro Tommy Haas. Il trentacinquenne tedesco ha facilmente superato Gulbis, mostrando una condizione eccelsa e ora nei quarti affronterà il francese Gael Monfils, ringiovanito dal Roland Garros. Per attitudine e talento favorito il ragazzo di Amburgo, ma partita aperta.