Da Benitez ad Ancelotti, passando per il triennio sarriano. L'Olimpico di Roma, vestito dei vessilli biancocelesti della Lazio, è terreno di conquista per il Napoli, imbattuto e sempre vincente nel catino della capitale da sei stagioni a questa parte. Anche ieri, nell'esordio della nuova Serie A, la versione - la prima di sempre - di Carlo Ancelotti non è stata da meno, dimostrando che le polemiche della vigilia e le amichevoli pre stagionali rappresentano soltanto un brutto ricordo, opaco, frutto di una lunga serie di esperimenti. Nessun esperimento, invece, in avvio di campionato: l'ex tecnico di Juve e Milan tra le altre si affida ai pretoriani, a quattordici uomini della vecchia guardia, lasciando a guardare i nuovi acquisti, i quali avranno il loro spazio in futuro. 

Non c'è tempo da perdere. Non è il momento di esperimenti, di sprecare punti e terreno prezioso, soprattutto contro una squadra, la Lazio di Inzaghi, apparentemente già rodata. Il nuovo Napoli dimostra maturità e personalità al netto delle oggettive e fisiologiche difficoltà di chi passa da un estremo ad un altro nella visione del gioco del calcio. Quegli stessi interpreti che hanno fatto lustrare gli occhi all'Europa e - forse - al mondo intero, si ritrovano catapultati in una realtà parallela, una Matrix di, stoffa, consistenza e caratteristiche completamente differenti rispetto alla versione precedente. Inevitabile un momento di sbandamento, tutt'altro che scontata invece la reazione, di orgoglio, di testa, di personalità, le quali confermano le qualità morali - prima ancora che tecniche - di questo gruppo. Il Napoli c'è e risponde presente. 

Foto Ssc Napoli Twitter
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Le difficoltà dell'inizio - Avvio duro, decisamente in salita per gli uomini di Ancelotti, i quali pagano qualche scoria di troppo nella mente figlio delle polemiche che hanno fatto seguito al tracollo di Wolfsburg. Hamsik annaspa in mediana, soffocato dalla pressione di Luis Alberto - dovrà farci il callo, soprattutto contro le squadre che usano il trequartista alle spalle della punta - sbaglia tanto in fase di appoggio e non riesce a far salire la squadra. Milik, al pari dello slovacco, di rado si vede in fase di sostegno ed il risultato è una squadra lunga che non riesce a tenere possesso e creare manovre degne di tal nome se non con qualche guizzo, raro, dei singoli. Insigne prova a mettersi in proprio, così come Zielinski, ma la marea di campo da coprire con la squadra così bassa non fa sì che queste iniziative siano efficaci e concrete.

Il gol del vantaggio di Immobile, frutto sia di indecisione del duo di centrali che di reparti fin troppo slegati, è una prima fotografia perfetta delle difficoltà - nuove - di questo Napoli. Il centrocampo tutto non copre a dovere, la difesa - a palla scoperta - fa il resto. Venticinque minuti, forse anche trenta perché la reazione non arriva immediatamente, di apnea, di scarso fosforo al cervello, mentre la Lazio appare decisamente in palla sia dal punto di vista del gioco che fisicamente, oltre che nei meccanismi ampiamente rodati. 

Personalità e carattere - La reazione però arriva, dai piedi degli stessi due interpreti che fino a quel momento avevano provato ad accendere la luce. Zielinski strappa a piacere in mediana, sfiora il gol due volte, prima di lasciare il testimone ad Insigne, il quale da Masaniello quale è, si carica la squadra sulle spalle, da vero leader tecnico, spirituale ed emotivo. Detto, fatto. Il Napoli cambia faccia, sale di una trentina di metri il campo come un salmone fa lottando contro la corrente avversa: di voglia, di carattere, di personalità. Le palle gol iniziano a fioccare, la squadra di Inzaghi accusa il colpo e si abbassa tremendamente senza riuscire più a ripartire appoggiandosi ad Immobile. Milik inizia a dialogare meglio con la squadra, oltre ad essere sempre pericoloso ed efficace in zona gol. Una prima occasione, vanificata dal fallo di Koulibaly, poi il sinistro a botta sicura su Strakosha; infine il pareggio, meritato, voluto, che conferma la buona salute psico-fisica dell'ex Ajax: azione alla mano, Insigne inventa per il taglio di Callejon, sponda per Arek; 1-1. 

Foto Ssc Napoli Twitter
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Il gioco - Dimenticate, quantomeno fin quando ci sarà Ancelotti sulla panchina degli azzurri, il fraseggio e la fitta trama di passaggi modellata a ragnatela per imbrigliare gli avversari prima in difesa, poi a centrocampo e, infine, in attacco. Il Napoli di Ancelotti non è e non sarà mai quello di Sarri, per idee e per concezione di gioco. Reparti molto più distanti, ampiezza del campo cercata con cambi di gioco e lanci lunghi piuttosto che tramite il dai e vai e gli scambi nello stretto; la ricerca spasmodica della prima punta come boa che smista il gioco, collega i reparti e fa salire la squadra; uno contro uno e sfera portata dai protagonisti molto più accentuati rispetto a qualche mese fa.

Molta più gestione, dei ritmi e delle folate, a vantaggio acquisito, senza strafare, senza esporsi, senza sbilanciarsi. Ne beneficia la difesa, più compatta e solida, ne beneficia il centrocampo, molto più equilibrato e quadrato. Ne beneficia il Napoli tutto, apparentemente sulle gambe anche se la condizione è più che soddisfacente per essere all'inizio del cammino. Qualche discesa libera personale di troppo delle mezzali e degli esterni, ma è frutto dello scarso ossigeno che arriva al cervello. Chi invece di ossigeno ne ha a iosa nei polmoni è Allan, indispensabile quanto una bottiglia d'acqua nel deserto, fondamentale ed imprescindibile dal sessantesimo a fine gara, quando tutti sembrano cotti ed invece lui corre ancora per quattro, recupera in ogni dove del campo e fa ripartire l'azione, alla mano o con efficaci passaggi.

Armi completamente diverse dalla visione di calcio del maestro di campagna, ancora da assimilare dai protagonisti i quali tuttavia - come sottolineato da Ancelotti stesso - stanno facendo di tutto pur di mettersi a disposizione del tecnico di Reggiolo ed eseguire i suoi dettami. Molte più palle alte e lunghe, per il centravanti o a cercare la profondità; molti più cross al centro dagli esterni e dalla trequarti. Quello che maggiormente colpisce è tuttavia la distanza tra i protagonisti in campo, spesso eccessiva, spesso poco efficace. 

Foto Ssc Napoli Twitter
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Dove migliorare - Qualche passaggio di troppo sbagliato - emblema è la sfuriata nei confronti di un laser-pass sbagliato da Koulibaly a quindici minuti dal termine - ne è la conseguenza, frutto di alchimia e di geometrie ancora da trovare, da limare. Normale, fisiologico. Manca ancora qualcosa in termini di produzione offensiva, di costruzione, di distanze tra i reparti e di contropiede, quasi mai utilizzato nella notte dell'Olimpico. Arriveranno anche questi, praticamente dimenticati nelle tre annate precedenti a causa di un possesso palla che limitava l'avanzata del baricentro dei rivali esponendosi alle ripartenze partenopee. Ancelotti non è contento, ovviamente, a fine gara, ma elogia e difende a spada tratta la sua creatura.

E' consapevole che nei primi mesi di lavoro della nuova stagione è fondamentale, anzi importantissimo, portare a casa quanti più punti possibile. In primis per rispondere alle critiche dei giorni scorsi, successivamente per alimentare di positività il gruppo di lavoro; non che ce ne fosse bisogno, ma come sottolineato dal reggiano in conferenza stampa, vincere aiuta sempre a vincere e questo Napoli, a vincere, è stato abituato. Ed ha ripreso laddove aveva lasciato.