La sensazione è quella dell'impotenza, la peggiore possibile con la quale uscire dal terreno di gioco. Sarri ed i suoi masticano amaro, provano a digerire la prima sconfitta da nove mesi a questa parte, anche se arriva nel momento peggiore possibile, nella gara peggiore possibile, quando l'autostima sembrava aver raggiunto il picco massimo.
Il Napoli scende in campo con la rabbia e la convinzione di chi è conscio dei propri mezzi, di chi ha cambiato atteggiamento e mentalità, ha assunto consapevolezza ed autorevolezza, ma anche di chi ha negli occhi quella presa di coscienza, forse inconscia, di non essere al massimo delle proprie potenzialità. Se da una parte c'è un leone famelico, il quale per un istante si fa ottundere la mente dalla possibilità di azzannare la preda, dall'altra c'è lo squalo, altro predatore di razza, cinico e spietato quando affamato, paziente ed al contempo silenzioso, il quale studia le mosse del rivale, lo fa sfogare, prima di approfittare delle sue debolezze. Basta un contropiede, paradossale, poco prima del quarto d'ora, per far saltare il banco al San Paolo. -1, campionato riaperto, semmai fosse stato erroneamente considerato chiuso.
Secco e deciso l'attacco sferrato al cuore della truppa partenopea, rivolta tutta in avanti, forse troppo, per essere soltanto l'inizio di una lunga partita. Il Napoli se ne accorge troppo tardi, quando Mario Rui ha già accompagnato Insigne sulla sinistra, al pari di Hamsik e Jorginho: palla persa, Douglas Costa mette in imbarazzo il regista brasiliano, lasciando a Dybala l'onere di fare quaranta metri di campo indisturbato; la difesa collassa, forse troppo, anche in questo caso, preoccupandosi della Joya piuttosto che guardarsi alle spalle: il terzino portoghese non può recuperare, Koulibaly in ritardo, la frittata è fatta. Da quel momento il gelo cala sul San Paolo, scosso soltanto dalla provocatoria - e giustificata - esultanza della seconda versione del Core 'ngrato. Da quel momento la gara è un Everest immenso, insormontabile, difficilissimo da scavalcare.
La Juventus bissa di fatto la prestazione messa in scena qualche mese fa nello stesso teatro partenopeo. Ad Aprile segnò Khedira, oggi Higuain: cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia, anzi sì. Perché la Juventus si perfeziona, approfitta della stanchezza fisiologica del Napoli, della pochissima brillantezza del terzetto offensivo dei padroni di casa per rendere inerme tutta la truppa sarriana, incapace nel trovare un guizzo degno di tal nome nei restanti 80 minuti di gara. Fisiologico sì, ma limite enorme, soprattutto quando al cospetto c'è la Vecchia Signora e non l'Udinese - con il massimo rispetto dei friulani di Oddo.
La differenza risiede qui, perché con la benzina in riserva per i napoletnai la fisicità e l'ermetismo allegriano la fanno da padrone: Juve stretta in venti, venticinque metri, le ripartenze contano il giusto una volta in vantaggio, Allegri ci fa poco conto. Oltre che la profondità, i bianconeri sono abili nel concedere anche pochissima densità nella fascia centrale del campo, dove Jorginho, Hamsik ed Allan sono costretti a giocare sempre a largo, sulle corsie dove gli ospiti vogliono mandare appositamente i campani: la trappola è perfetta, perché i partenopei ci vanno praticamente sempre, dando la parvenza di un dominio, che una volta effettuati i cross al centro, risulta sterile e poco produttivo, quasi mai pericoloso.
Impotenza. Appunto. La sensazione peggiore è quella che, nell'arco dei novanta minuti, mai il Napoli si sia reso pericoloso dalle parti di Buffon - anzi, a rendersi pericolosa più volte è la Juve con Matuidi, con i partenopei salvati da Reina in due occasioni. Fotocopia ancor più sbiadita della versione del Napoli del Friuli di Udine, non un caso, soprattutto se al cospetto ci sono la fisicità di Khedira e Matuidi, la corsa di Douglas Costa, la bravura di Benatia e Chiellini difensivamente, la qualità di Dybala ed Higuain, l'applicazione globale di una squadra sei volte campione d'Italia. Impotenza. Gli azzurri sbattono ripetutamente sul muro di gomma piemontese, legittimando il risultato in favore degli ospiti incaponendosi in uno sterile possesso palla orizzontale e quasi mai verticale, quasi mai ficcante tra le linee, senza riuscire mai a trovare un modus operandi diverso da quello del proprio spartito.
Un punto di forza, immenso, il gioco sarriano, ma anche un limite incredibile quando lo si riesce ad arginare. La mancanza di alternative fa il resto, anche se non può e non deve rappresentare un alibi. Guai se lo diventasse. Una sconfitta non fa una stagione di certo, ma nel momento e nel modo in cui arriva potrebbe iniziare ad aprire una crepa in quel muro di auto-convinzione e di certezze che il Napoli stava alzando. Adesso, la necessità, nell'incapacità e nell'impossibilità di ritrovare improvvisamente brillantezza fisica soprattutto nel tridente d'attacco, è quella di imparare a fare di necessità una virtù, di fare le spalle grosse e digerire questa pietanza amara. Il Feyenoord sullo sfondo, poi la Fiorentina, due tappe alla portata del Napoli, che in uno dei crocevia stagionali deve riuscire a trovare la forza di rialzarsi e di continuare a correre. La forza dei grandi, risiede anche in questo.