Sliding doors, continue. Cosa sarebbe successo se...
Con i se e con i ma, la storia non si scrive. Ciò che resterà della serata del San Paolo è il 2-4 finale, con il quale il Manchester City di Pep Guardiola supera un buon Napoli di Maurizio Sarri, dominante soprattutto nella mezz'ora iniziale, ma trafitto dalla fragilità atavica sulle palle da fermo e dall'inevitabile sbilanciamento degli ultimi venti minuti. Tuttavia, all'interno di una stagione e nel microcosmo di una singola partita, come spesso capita, ci sono degli episodi che condizionano l'esito della stessa e, potenzialmente, rischiano di minare persino il prosieguo della stagione. Due, su tutti, quelli che hanno deciso gran parte del risultato della sfida di ieri sera: il primo, l'infortunio di Ghoulam, il secondo, l'errore di Jose Callejon a tu per tu con Ederson. Imperdonabile quest'ultimo, soprattutto se si pensa che nell'azione successiva Aguero ha dato il là alla fuga inglese per la vittoria finale.
Il presupposto di partenza resta una mezz'ora sfavillante, brillante come poche altre occasioni. Il Napoli è una macchina, si presenta con la giusta carica di adrenalina, assedia il Manchester City, costretto persino a lunghissimi rilanci dalla difesa a caccia di un Aguero spaesato ed in balia delle onde partenopee. Gli azzurri giocano a memoria, non lasciano nulla ai rivali, il baricentro è costantemente alto - il cacciatore che chiude la preda in un angolo - costruiscono e sfiorano il vantaggio ripetutamente, prima di trovarlo con un magnifico gioco a due tra Insigne e Mertens. Gli inglesi sono fermi, estasiati, irretiti da ciò che accade, al palo. Tutto sembra lasciare intendere ad un'altra serata di gloria tra le mura di Fuorigrotta, perché nonostante l'atteggiamento guardingo della squadra ospite, la sensazione di dominio incontrastato legittima il pensiero di un controllo totale della contesa, ben al di là del punteggio.
L'insidia tuttavia è dietro l'angolo ed attorno alla mezz'ora il gelo cala improvvisamente su Fuorigrotta, quando uno dei migliori di questo avvio di stagione, Ghoulam, si lancia in una delle sue proverbiali discese palla al piede. Fermato poco prima del limite dell'area, il terzino procede la sua corsa, prima di cambiare direzione e di fare perno sulla gamba destra. Crac. Inatteso, improvviso. L'algerino si accascia al suolo, prova nonostante il dolore a giocarci su, prima di alzare bandiera bianca. Il primo turning point della gara è questo, anche perché contestualmente Mertens accusa un fastidio muscolare ed il Napoli subisce una fortissima scossa di terremoto, di assestamento, seppur destabilizzante come poche. Il Manchester ha il merito di riconoscere la situazione per emergere dall'acqua, prendere ossigeno e fiato oltre che campo, assediare la trequarti partenopea e tornare cacciatore piuttosto che preda. I partenopei accusano il colpo, subiscono il pari oltre all'uscita del terzino algerino e sembrano improvvisamente perdere anche la trebisonda.
Detto, fatto. La sensazione di panico e paura si ripercuote negli animi dei padroni di casa anche al ritorno in campo. La scossa nell'intervallo non c'è, quella scarica di adrenalina sembra essere svanita con l'uscita dal terreno di gioco del terzino sinistro africano: non una giustificazione, sia chiaro, tutt'altro. Il vantaggio ospite è la conseguenza figlia di un atteggiamento mentale fin troppo rilassato, oltre ad una marcatura a zona che rappresenta come detto un problema atavico contro squadre del calibro e della prestanza fisica del Manchester City - così come del Real Madrid lo scorso anno. L'1-2 è un macigno apparentemente poco digeribile, anche se il Napoli con orgoglio e dedizione torna a tessere le trame del suo filo, riuscendo fortunosamente a pervenire al pareggio. E' il momento della scossa, della scarica di adrenalina che può cambiare la partita in positivo. Il San Paolo torna a crederci, il Napoli torna a crederci.
L'entusiasmo genera energia, l'energia produce palle recuperate e fraseggio nuovamente efficace, con Insigne e Mertens che tornano improvvisamente protagonisti. L'inerzia appare capovolta per l'ennesima volta, illusoriamente per Fuorigrotta nella direzione degli azzurri beniamini di casa: il belga trova spazio tra le linee, punta la difesa, vede il varco giusto per servire Callejon e lo imbecca nel modo migliore possibile; l'iberico è tutto solo davanti ad Ederson, chiude gli occhi e spara: carpe diem, cogli l'attimo, così non accade. Il portiere rivale devia la conclusione, ma la sensazione immediata è quella del gol mangiato. Il palloncino si sgonfia improvvisamente e, senza nemmeno batter ciglio, Hamsik si fa scippare ingenuamente sulla trequarti dai rapaci inglesi: parte la controfuga, il Napoli è scoperto e ne paga le conseguenze. Aguero non sbaglia, lui sì, davanti a Reina. Ennesimo ribaltone, emozioni contrastanti, stravolte in poco meno di dieci secondi.
Stavolta rialzarsi è impossibile. L'attenzione e la concentrazione calano fisiologicamente, al pari della lucidità. Il Manchester mette in atto il piano perfetto, il tiki-taka guardioliano legittima il punteggio ed il vantaggio, con gli uomini di Sarri che girano a vuoto nel quarto d'ora finale senza mai rendersi pericolosi. Anzi, si sbilanciano nel finale, inevitabilmente, andando a caccia di un pareggio forse meritato. Il poker di Sterling è una conseguenza, amara, forse fin troppo ingiusta, ma è la fotografia perfetta di quello che, ad oggi, sono i valori in campo. Sei a tre nel computo complessivo tra andata e ritorno, ma nel contorno dello spettacolo di calcio assoluto visto tra l'Etihad ed il San Paolo, il Manchester ha dimostrato di essere ben altra cosa rispetto a questo Napoli, capace di indirizzare con cinismo e personalità, carattere e fermezza, gli episodi tutti a proprio favore. E' un motivo di vanto, di orgoglio, non una pecca.