Ad un certo punto di Marco Giampaolo si erano perse le tracce sulle panchine del calcio italiano. Piano piano, poi, la risalita, le buone cose fatte vedere ad Empoli e l'occasione di una squadra con un progetto che lo ha catturato come successo con la Sampdoria di Ferrero. Progetto fatto di giovani di talento, se non fenomenali, come nel caso di Schick, lanciato proprio da Giampaolo nella scorsa stagione.
Alla ripresa del campionato l'attaccante tornerà a Marassi, ma da avversario. La Roma se lo è portato a casa dopo una durissima asta, ma Giampaolo al Corriere della Sera non usa mezzi termini per definire Schick: "Ho detto che può giocare in diverse posizioni della linea d’attacco, ma sempre con la porta dritta davanti a sé. Confermo: per me non è un’ala. Giocatore pazzesco, mai banale, quando calcia è sempre gol. E dire che un anno fa non se lo filava nessuno. Aveva bisogno di crescere muscolarmente, era acerbo. Ma fortissimo. Sa chi se ne accorse per primo?Antonio Cassano. Un pomeriggio viene da me e mi dice: mister, questo è forte forte. Antonio e il Verona? Non si entra nella testa di un uomo. Di lui però una cosa l’ho capita parlandoci ore e ore: è un intenditore di calcio. Il prossimo Schick sarà David Kownacki, il polacco. Vent’anni, diverso da Patrik ma potenzialmente fortissimo. Nel medio periodo esploderà".
Il tecnico spiega anche che cosa gli piace di questa Sampdoria: "Vado dove c’è un progetto. Qui c’è. Se mi chiede dove sarò domani non glielo so dire, prima di tutto perché non m’interessa: in quanto uomo di mare, sono fatalista. E poi a 50 anni una cosa l’ho capita: ciò che è certo oggi non lo è più domani. Comunque io qua sto benone, c’è il mare, e uno stadio pazzesco. A volte lì dentro succede qualcosa di metafisico. Il calcio è lavoro, allenamento, ricerca, studio. Ma non è una scienza. I colleghi dicono che sono bravissimo? Non lo so, chiedetelo a loro... Dieci anni fa mi davano del finito, io non l’ho mai pensato. Il calcio è una giostra di risultati, l’importante è avere la consapevolezza della propria passione, delle proprie convinzioni, e della voglia di continuare a costruire mettendosi in gioco a qualsiasi livello". Promozione totale, infine, per il VAR: "Mi piace da morire, è l’invenzione del secolo, un antidoto alla cosiddetta sudditanza psicologica e, si spera, alle polemiche. Vedo arbitri più tranquilli, meno soli, e anche la gente osserva, da casa o allo stadio, con maggior serenità".