Napoli - Atalanta rischia già, nonostante si tratti soltanto della seconda giornata di campionato di Serie A, di rappresentare un primo, enorme, punto di non ritorno per gli azzurri di Maurizio Sarri. Tecnicamente e mentalmente, in campo, per quello che è accaduto contro la solita banda Gasperini, capace di irretire il gioco del Napoli per cinquantacinque minuti prima della scossa; l'eurogol di Zielinski, la rimonta, la festa. Partita sentita in maniera particolare, quasi paradossale: il San Paolo avverte il momento, già dal pregara, quando un frastornato Pepe Reina entra sul manto erboso per il riscaldamento. I primi sentori che qualcosa non possa andare per il verso giusto si iniziano ad avvertire: all'iberico sfugge un pallone banale, sarà un caso oppure no? 

Il gol del vantaggio di Cristante gela il sangue nelle vene dei presenti, dei calciatori e della panchina tutta. Gli spettri nell'armadio iniziano a diventare sempre più oppressivi, ingombranti, lo spauracchio sempre più presente nella testa, confusa, dei giocatori. Il secondo tempo e l'epilogo della serata sono un crepitio di emozioni: il gol di Zielinski, quelli di Mertens e Rog per una vittoria che vale ben più dei tre punti finali, la passerella finale dei calciatori sotto la curva, quella solita. Anche in questo caso, tuttavia, c'è qualcosa che non va. Tra i protagonisti sul tappeto rosso, davanti ai tifosi di casa, il terzetto d'attacco, visibilmente raggianti per quanto appena fatto in campo. Si unisce ai festeggiamenti, ma in maniera molto più passiva e decisamente gelida, Pepe Reina: la sensazione è contraddittoria, come le emozioni che pervadono quei momenti; lo spagnolo è contrariato, stenta a godersi il momento, nonostante le lusinghe e gli inviti ripetuti dei compagni. E' il passo d'addio, lo sanno i calciatori, lo capisce lo stadio tutto. 

Ciò nonostante, però, i partenopei si rifiutano di accettare questo destino e lo fanno sentire in tutti i modi al proprio capopopolo, quello che durante quelle stesse sfilate dopo ogni gara trascinava squadra e pubblico. L'abbraccio del San Paolo è di un calore senza eguali. Una scena vista raramente. Mertens abbraccia Reina, lo strattona per il braccio, lo spagnolo fa ancora resistenza. Il pubblico insiste, il boato sale di colpi e costringe l'iberico a girarsi, forse un'ultima volta. Le lacrime trattenute a stento testimoniano la difficoltà del momento, prima di sciogliersi nel tunnel che porta agli spogliatoi e congedarsi dal resto della squadra prima di partire alla volta della Nazionale. 

La testimonianza d'affetto tuttavia scuote l'animo del portiere spagnolo, ne condiziona nottata e viaggio verso la Spagna. Una volta atterrato, dopo l'incontro con il suo manager, la scelta. Pepe Reina resta a Napoli. Quell'accoglienza e quell'abbraccio finale potrebbero aver fatto la differenza, in positivo, tra la permanenza e l'addio. Niente scontro frontale con la società, l'iberico accetta di restare all'ombra del Vesuvio accettando il naturale corso degli avvenimenti: il Napoli è ancora di Reina, data l'impossibilità di trovare un'alternativa e mettere tutte le tessere del mosaico portieri al proprio posto quando alla chiusura del mercato mancava oggettivamente troppo poco. Il tutto per la gioia dello spogliatoio e di Maurizio Sarri soprattutto, il quale sarà felice una volta che lo spagnolo metterà piede nuovamente sul suolo partenopeo, di consegnargli nuovamente le chiavi della sua squadra. Il patto di ferro è ancora in piedi. Il primo turning point della stagione è superato.