Cara Serie A,
Non sono mai stato un sostenitore della cultura tedesca. Probabilmente per la differenza che intercorre tra noi latini, come ci piace definirci, e loro, nordici, biondi e freddi. Non mi piace l’idea di vedere a qualsiasi ora, in qualsiasi città e in qualsiasi occasione bottiglie di birra accompagnate da visi paonazzi che, per quanto gioviali, sono distanti dal nostro modo di pensare. Non sono un amante delle temperature tedesche né del loro cibo che, parliamoci chiaramente, può declinarsi come un’alternanza costante tra würstel e schnitzel.
Tuttavia, trovandomi per motivi personali in una piccola città della Baviera, Regensburg, meglio nota come Ratisbona, famosa per un Trattato siglato alla fine del ‘600 tra l’imperatore Leopoldo I ed il re di Francia Luigi XIV, non ho potuto fare a meno di apprezzare la cultura sportiva che si respira a pieni polmoni da queste parti.
È fine maggio e si giocano i playoff per salire in seconda divisione tra lo Jahn Regensburg, squadra di casa e giunta terza nel campionato equivalente alla nostra Lega Pro, e il Monaco 1860, nobile decaduta del calcio tedesco, piazzatasi terz’ultima in Zweite Bundesliga. Già perché in Germania le retrocessioni sono molto più meritocratiche che alle nostre latitudini. Eccezion fatta per le ultime due, che scendono automaticamente di categoria, la terzultima di ciascuna serie si scontra con la terza della categoria inferiore, per dimostrare di meritare ancora la propria posizione. Una costruzione simile garantisce, ovviamente, un livellamento sempre costante verso l’alto.
La partita è alle 18, la città appare in fibrillazione. Una squadra di Serie C gioca in uno stadio di 15.000 posti, tutto esaurito; gli spettatori ospiti provenienti da Monaco (sì, perché, come se non bastasse, è anche un derby) sono scortati da un cordone di polizia che ricorda le serate di Champions League dalle nostre parti. Mi distraggo per un paio d’ore, ma poi, tornando per strada, mi rendo conto che la partita è finita: i tifosi dello Jahn, con le loro sciarpe rosse e bianche, appaiono rassegnati. Avranno perso, mi dico. Vado a controllare sul primo sito internet disponibile e noto che in realtà la partita è finita in pareggio, con un rigore sbagliato dai padroni di casa quasi a tempo scaduto.
Passeggio per il centro e vedo, insieme, tifosi delle due squadre bere e cenare insieme.
E, allora, mi chiedo come saresti tu, la nostra Serie A, vissuta in questo modo.
Una Serie A, innanzitutto, più competitiva. Non necessariamente riducendo il numero delle partecipanti, ma semplicemente facendo in modo che si alzi il livello. La Germania, da questo punto di vista, è avanti anni luce: se meriti di salire di categoria, puoi dimostrarlo soltanto battendo qualcuno più in alto di te. Altrimenti, rimani dove sei. Questo per evitare, praticamente, di avere squadre rassegnate alla relegation già nel mese di Febbraio, si vedano gli esempi di Pescara e Palermo nel nostro campionato.
Una Serie A, che possa, poi, essere più partecipata. Il mio massimo stupore, infatti, è stato vedere che una squadra di un piccolo centro, militante in terza serie, possa avere lo stesso, se non, più appeal di un team della nostra massima categoria. Marketing, merchandising, facilities allo stadio? Probabilmente un po’ di tutto questo, ma, soprattutto, identità. Sì perché qui ognuno tifa la squadra della propria città, ognuno sostiene i colori di cui è tifoso sin da bambino.
E allora, cara Serie A, prima di tornare a godermi il tuo spettacolo nella stagione a venire, domani sera, in compagnia di qualche tedesco, guarderò, accompagnato da una pinta di birra– e forse più di una – il ritorno di questa mirabolante sfida tra titani, in grado di mobilitare una città intera.
Sperando che, tra qualche anno, al di là degli aspetti tecnici, potrò raccontare un’evoluzione culturale nella vita pallonara.
Sempre tuo,
Lorenzo