Sette partite senza Milik. Seicentotrenta minuti senza l'ariete che tanto bene aveva fatto nelle prime apparizioni all'ombra del Vesuvio con la maglia del Napoli sono bastati per far tornare in auge la vox populi della dipendenza della squadra di Sarri dalla presenza del centravanti polacco al centro dell'attacco dei partenopei. Una mancanza fisiologica, che ha inevitabilmente compromesso parte della stagione del Napoli. Quanto manca Milik al Napoli? Tanto, tantissimo, forse troppo considerando la mancanza di una valida alternativa.
Un'assenza che va ben oltre i due pareggi e le tre sconfitte di cui parla il calendario azzurro: presenza in area, partecipazione alla manovra, finalizzazione. Tutti aspetti che per quanto Mertens possa sbattersi come un ossesso là davanti non avrà mai, per natura ed indole, così come Gabbiadini, del tutto opposto a tali caratteristiche. Tre mesi, almeno, bisognerà aspettare per rivedere il polacco in campo dopo l'infortunio di Varsavia: "Mi sento sempre meglio, ma quando ho saputo la diagnosi ho pianto. I primi giorni ero depresso, ma alla mia età bisogna rialzarsi. All’inizio ho guardato tutti i messaggi dei fan, poi ho voluto iniziare subito la riabilitazione. L’infortunio è nato dopo un contrasto innocuo. Al 99% in questi casi finisce con una lieve contusione, ma purtroppo può succedere. È il mio primo infortunio di questa gravità".
Prova a voltare pagina l'ex Ajax che guarda così alla riabilitazione: "Svolgo almeno due seduete d’allenamento al giorno, alle 9 sono al centro sportivo e torno a casa alle 16, poi svolgo degli esercizi supplementari. Vado quasi ogni giorno in cyclette, a un ritmo molto lento. Sono ancora all’inizio del percorso. Nel tempo libero? Cerco di ammazzare il tempo facendo cose che in genere non posso fare. Per esempio, ho fatto degli investimenti. Come procede? Tutto sta andando secondo i piani, non ho problemi con il ginocchio. Non è gonfio e non ci sono accumuli di sangue. Ma non voglio sbilanciarmi".
Tanto l'entusiasmo attorno a Milik, in città come allo stadio: "Avverto grande sostegno della squadra, dei tifosi e della Nazionale. Lo speaker del San Paolo? Decibel è una persona molto positiva, mi ha stupito, è stato incredibile. Significa tanto per me. Arkadiuszo? Ne abbiamo parlato, gli ho suggerito di chiamarmi Arek, ma ha insistito per pronunciare il nome concreto. L’importante è che lo faccia con passione".
Inoltre, sul rapporto con la squadra: "Non credo di essere una star, credo sempre nel collettivo, ed io devo ancora crescere tanto. Non voglio riposare sugli allori: voglio crescere come giocatore e come persona". Inoltre, sul rapporto con la città: "Mi muovo raramente, il calcio a Napoli è religione e passeggiare tra la folla è complesso. Faccio shopping al mattino presto, o in posti poco affollati. È bello ricevere tante attenzioni, ma è anche vero che a volte ti piacerebbe prendere una pausa dal caos e dalla frenesia. Il calcio come una religione? Poco fa, a San Gregorio Armeno, hanno realizzato la statuina con le mie fattezze, e hanno insistito per regalarmela. Ci conoscono tutti, in città non si parla d’altro e quando sono in giro nessuno ci lascia pagare. Avrò pagato nei ristoranti due volte su dieci".
Infine, una battuta sul ritorno in campo: "Non voglio avere fretta, ho ancora una carriera intera davanti. Quello che mi sto perdendo ora, lo recupererò in seguito. Tornerò in campo quando i medici mi giudicheranno guarito al 100%. Speriamo possa accadere in primavera".