Dopo tre anni l'Udinese cambia DS, il contratto di Giaretta infatti è scaduto e non è stato rinnovato. Come nuovo DS è già stato ufficializzato Nereo Bonato (che però non ha ancora lasciato dichiarazioni). L'ex direttore del Novara è stato quindi raggiunto dai microfoni del Messaggero Veneto, per un'ultima lunga intervista, in cui sono stati toccati anche argomenti che di solito restano nel "cassetto", come per esempio quale sia effettivamente il ruolo del DS ad Udine.

Partiamo dall’inizio. Qual è il primo ricordo di Giaretta con la società Udinese?

«L’incontro con Gino Pozzo. Mi fece una telefonata e quando mi presentai a colloquio mi sorprese sapendo tutto di me, dalla mia professionalità alle lingue straniere che parlavo. Ne avevo sentito parlare, ma vivere la professione assieme Gino Pozzo è un’altra faccenda».

Si spieghi meglio...

«A mio avviso Gino Pozzo è il migliore manager d’Italia, e non dovrei fermarmi qui avendone conosciuti molti altri per l’Europa grazie all’Udinese. Spesso si sente parlare di modello Udinese, ma un motivo per cui non puoi replicare lo stesso modello sono le persone, e Gino è unico, non lo puoi clonare. Lo devi vivere, stare a stretto contatto quotidiano, dalle riunioni in Lega a quelle quotidiane, a come conduce le trattative, le negoziazioni, a come instaura i rapporti con i club. Da lui ho potuto apprendere tanto, e mi sento fortunato, oltre che arricchito professionalmente».

I maligni dicono che proprio in virtù della competenza di Gino Pozzo, il ruolo da ds all’Udinese è confinato, con poca operatività sul campo, specie nel mercato.

«Ma è normale. Ho appena detto che è tra i migliori al mondo, e quindi è normale che le cose avvengano sotto la sua direzione. Che fai, non lo sfrutti un manager così?».

Già, lo pensano anche i tifosi dell’Udinese, grati ai Pozzo, ma anche scettici e spesso in guardia nei confronti di quel Watford che ha attratto energie altrove.

«L’impegno col Watford ha costretto Gino soprattutto a un’assenza fisica, ma siamo riusciti a vincere e a consolidare la Premier, e Gino è tornato a tempo pieno all’Udinese».

Vuol fare l’equazione e quindi prevedere un rilancio immediato per l’Udinese, proprio in virtù di una presenza maggiore del suo stratega di mercato?

«Dico che la famiglia ha intenzione di riportare non in alto, ma in altissimo l’Udinese. Soprattutto Gianpaolo Pozzo ha vissuto male quest’ultima stagione, coincidente con la fine di un ciclo per molti giocatori».

Già, possiamo riavvolgere il nastro e capire i motivi di così tante difficoltà?

«Questa stagione era stata anche buona nel girone di andata e quindi bisogna parlare di mezza stagione. Siamo arrivati a fare 24 punti prima della trasferta di Carpi, con Zapata che si infortuna, e da lì in poi succede qualcosa di strano, di imprevedibile e poco gestibile. Se ne sono dette e sentite di tutti i colori, ma sono state tutte cavolate. Quando le cose vanno male sembra tutto un caos».

Ma qualche fattore dovrà pure avere inciso, non crede?

«É una squadra che è mancata di personalità. Poi la si è rinforzata, ma neanche il mago più illustre avrebbe funzionato. Nonostante tutto nessuno ha mollato e siamo riusciti a salvare la squadra. La stagione catastrofica l’ha fatta il Verona, che è retrocesso, e non l’Udinese».

L’ultima stagione di Guidolin, Stramaccioni, Colantuono e De Canio. Quali difficoltà in comune hanno spartito gli ultime tecnici passati al Bruseschi?

«Credo la fine del ciclo di senatori quali Pinzi, Domizzi e Di Natale, che sono stati il cardine per anni. Io ho avuto la piccola sfortuna di far coincidere il mio mandato con questo periodo, ed è un peccato andare via perchè adesso viene il bello».

Tornando a lei Giaretta, Gino Pozzo l’ha investita di responsabilità in molte trattative. Quella con Zapata ad esempio.

«È stata la più complessa e soddisfacente. Duvan aveva addosso tante squadre con accordi già scritti sul contratto e commissioni, e per prenderlo sono stato una settimana fissa a Milano in albergo, trattando quotidianamente con i due agenti del giocatore. La strategia era proprio quella di restare lì con loro e da solo, e alla fine sono venuti con noi a condizioni diverse rispetto a quelle di altri club. Avevamo paura di perdere il giocatore, i tempi stringevano e non c’erano altri attaccanti».

Altre trattative complicate?

«Ricordo quella per Hallberg, con un viaggio avventuroso per arrivare a Kalmar e la concorrenza di parecchi club europei. Poi il Kalmar aveva pretese molto alte. Fu complicata anche quella di Wague. Ero stato quattro giorni in Francia con un agente e il fratello di Molla, ma non se ne veniva a capo. Quando ormai sembrava tutto sfumato, in un convegno a Londra parlai con un agente inglese che mi disse lo aveva in procura e riuscimmo a prenderlo alle stesse condizioni economiche».

Il grande rammarico?

«Kownacki, un attacante classe ’97 del Lech Poznan che non riuscimmo a prendere, e che restò al Lech, dove si trova tuttora».

Siamo ai saluti. Cosa lascia e si porta nel cuore Giaretta?

«La lista è lunghissima, ma credo di avere legato con tutti. Ho avuto migliaia di contatti per il mondo e ritengo di essere stato un buon professionista avendo rappresentato al meglio l’Udinese».