Si dice che vincere queste partite, in questo modo, sia più bello. Vero, ma non ditelo a Maurizio Sarri. L'inguaribile perfezionista osserva la sua squadra brillare per 65-70 minuti, prima di lasciarsi andare fin troppo presto, considerando la gara ampiamente chiusa. Il Napoli di Sarri è diverso da quello di Benitez in tanti, troppi aspetti, ma ieri sera ha rischiato di cadere sulla stessa buccia di banana messa appositamente da Mancini al San Paolo così come l'aveva apposta qualche mese fa.
Riavvolgiamo il nastro. Napoli che si gioca il terzo posto e la qualificazione in Champions: 2-0 all'Inter, poi la beffa firmata Icardi dal dischetto. Il ricordo è ancora fresco, soprattutto considerando il contraccolpo da lì in poi, quando gli azzurri hanno pagato in termini di qualificazione alla Champions League per quel mancato successo. Paradossalmente, il Napoli di Sarri stava per venire meno proprio sullo stesso aspetto, seppur con proporzioni diverse: a Fuorigrotta si gioca "solo" la 14^ di andata, ma è sfida dal sapore di primato, di vetta, persino di scudetto per quanto sia prematuro parlarne.
Lo svolgimento della gara lo conferma. Le qualità del Napoli sono evidenti, lampanti, dirompenti. Higuain sblocca, i partenopei gestiscono con il solito incedere, sfiorando il raddoppio. L'Inter paga una eccessiva riverenza, forse giustificata, forse no. Primo tempo ad appannaggio degli uomini di casa, l'uomo in più sembra presagire un secondo tempo in controllo.
Il raddoppio fortifica tale tesi: Higuain è un marziano nel prendere il tempo ai centrali ospiti, nel tenere il contatto e battere nuovamente Handanovic. Il doppio vantaggio, paradossalmente, rilassa e deconcentra gli azzurri, che si riscoprono fragili ed impreparati alla concreta possibilità di conquistare la vetta in solitaria. È lo scotto da pagare, quello del noviziato, della squadra di provincia che dopo 25 anni di assenza dal primo gradino, si attesta in una posizione naturalmente non propria.
La descrizione sarriana è lucida e precisa: "ansia da prestazione". Aggiungerei anche un pizzico di vertigini, inevitabili quando ci si ritrova a venti minuti dalla vetta. L'Inter prende fiducia trascinata da un signor centrocampista, giovane ma sfacciato, talentuoso quanto coriaceo: Brozovic spezza il Napoli in due, consegna a Ljajic la possibilità di redenzione tecnica e carismatica. Il 2-1 fa crollare nell'oblio della mente e delle paure gli azzurri. "E se non dovessimo farcela?". I fantasmi si materializzano, laddove il Napoli di Sarri non aveva mai peccato: nella gestione del possesso, nella lucidità di trovare il passaggio ed il varco giusto. Il braccino del tennista è corto così come la panchina del Napoli: un dato oggettivo per chi si gira in cerca di un'ancora e trova i soli El Kaddouri, David Lopez e Maggio. Troppo poco per puntare alla vetta.
Tuttavia il Napoli ne esce alla distanza soffrendo, enormemente, nel finale. Tra pali e Reina gli azzurri possono uscire trionfanti dal catino di Fuorigrotta che in un modo o in un altro si conferma inespugnabile. Napoli in vetta, con pienissimi meriti, di una squadra che nelle ultime undici ha conquistato 29 punti sui 33 disponibili, subendo soltanto tre reti. Adesso è tempo di maturare, definitivamente, sotto un aspetto che da 25 anni non si presentava all'ombra del Vesuvio: le vertigini si presenteranno già domenica al Dall'Ara, al cospetto di un Bologna vivo e vegeto. Servirà il solito e solido Napoli per attestarsi in vetta alla serie A.