Tra sorrisi ed abbracci, il Napoli si ritrova a Verona un mese dopo la vittoria sul Chievo con la oramai consolidata presunzione, con il consueto ed incessante dominio tecnico-tattico, ma con due armi che, in vista del ciclo di ferro di fine girone d'andata, potrebbero consacrare definitivamente la squadra di Sarri. La calma e la tranquillità, da sempre velleità di squadre di blasone e classifica, sono qualità che quasi mai sono appartenute al Napoli, bello e sanguigno quando le cose andavano bene, quasi mai razionale e riflessivo quando gli eventi avversi iniziavano a viaggiare nel verso opposto.
Dieci partite (quattordici considerando l'Europa), otto i successi (dato sempre più clamoroso) a fronte di due pareggi, Carpi e Genoa che macchiano in maniera fisiologica l'incessante cammino della squadra partenopea. Due nei che stonano in un quadro di impressionante perfezione, fatto di un portiere imbattuto da cinque partite in campionato (470 minuti), dal centravanti principe della Serie A (l'unico in doppia cifra fin qui), da un contorno finalmente armonioso e conscio delle proprie potenzialità e della propria forza.
La sfida del Bentegodi richiama alla memoria la battaglia di Carpi, così come 'l'andata' in terra scaligera contro il Chievo. Tre squadre arroccate, che fanno della difesa la loro prerogativa per non lasciare spazi ad inserimenti e tagli, di mezzali o delle ali offensive. Il piano funziona fino al minuto 65. Mandorlini è soddisfatto della prova della sua squadra, consapevole di poter solo limitare, fin quando possibile, l'impeto degli ospiti. L'ex Jorginho detta i tempi, Hamsik è una spina nel fianco dal quale passano tutte le migliori occasioni dei partenopei, il Pipita scalda i motori.
Manca il lampo, però. Manca quel guizzo di cazzimma pura, decisivo ai fini del risultato, capace di sbloccare la gara: arriva a metà ripresa, frutto della prima sbavatura scaligera, che lascia campo ad Hamsik e disinnesca la bomba ad orologeria azionata dai tifosi veronesi. Insigne è un Vesuvio di emozioni, di rabbia, di frustrazione per una prova scialba, incolore. Il talento di Frattamaggiore ha però la consapevolezza e, forse per la prima volta in carriera, la maturità di non eccedere in gesti eclatanti, di non uscire dalla gara mentalmente. La mancata sostituzione di Sarri, che toglie Callejon preferendogli El Kaddouri, gli dà serenità e fiducia, ripagate poco dopo con il movimento perfetto sul taglio di Higuain: stop, girata, palla all'angolino.
Il Napoli passa, e si scrolla dalle spalle quel pizzico di pesantezza che si stava palesando dopo un'ora di 'squash'. Il continuo e ripetuto schiantarsi contro la difesa dell'Hellas non ha però scalfito le certezze degli azzurri, che dal momento del gol hanno legittimato il vantaggio con classe e con la solita padronanza. Il Verona è crollato mentalmente, affondato dalla magia del talento tanto denigrato dalla curva dei propri supporters.
Il raddoppio è arte, allo stato purissimo. La sublimazione di una fiducia smodata nelle proprie corde: tre tocchi di prima, Insigne per Higuain, Napoli in vetta. Il ciclo che alla vigilia incuteva più timore di Jack Torrance viene superato dalla squadra di Sarri a pienissimi voti: Chievo, Palermo, Genoa, Udinese e Hellas portano in dote 13 dei 15 punti disponibili ai partenopei, che si presentano alla sfida Scudetto contro l'Inter (già, perché anche se siamo a fine Novembre è inevitabile parlarne) con due lunghezze di svantaggio dai neroazzurri. Lunedì l'appuntamento per il sorpasso: personalità, fiducia ed una calma che legittima le speranze di una città, che finalmente può sognare ad occhi aperti.