Per spiegare nel modo più realistico e congeniale cosa faccia parte del ruolo dell’allenatore prendo in prestito le preziosissime parole di Flavio Tranquillo, che nel suo libro “Altro tiro, altro giro, altro regalo”, nel paragrafo dedicato a questa figura a volte mitologica, altre ben più denigrata di uno zerbino, utilizza le seguenti parole: “In Italia ci sono più di quattordicimila allenatori di pallacanestro (nel nostro caso molti di più n.d.r.), tutt’altro che pochi. Almeno mille volte tanti sono però quelli che credono di saperne più di loro. Non esistono, anche al di fuori di un contesto strettamente sportivo, ruoli capaci di esercitare una simile polarizzazione nell’immaginario collettivo. L’allenatore è visto come un istruttore, un amico, un mentore, un facilitatore, un motivatore, un manager, un filosofo, un incantatore, un organizzatore, un complice, un insegnante; ma anche come un comunicatore, un sapiente, un generale, un sergente (di ferro), uno stratega, un attore, uno sfruttatore, un trascinatore, un paraculo, e molte altre cose. Troppe per una singola persona”.
Quando Maurizio Sarri è stato scelto dal presidente De Laurentiis per svolgere il ruolo di capo-allenatore sulla panchina del Napoli, ho trovato personalmente la scelta del mister alquanto singolare ma significativa. Il passaggio dal provincialismo alla famosa internazionalizzazione è stato repentinamente messo da parte, dopo che il focoso patron azzurro lo ha reputato clamorosamente fallito (è un dato di fatto, senza voler dare meriti o demeriti a taluno o tal altro allenatore, né emettere sentenze o critiche). Si è tornati a Napoli, alla provincia, quella toscana di Figline Valdarno nella fattispecie di Sarri, ma anche quella partenopea, in quanto l’allenatore in questione è figlio di Partenope, in particolare di Bagnoli, quartiere a pochissimi chilometri (metri se vogliamo considerare la distanza in linea d’aria) dall’ubicazione del San Paolo. Nonostante il trapianto in terra Toscana in gioventù, dunque, il nuovo mister del Napoli aveva già insito nel suo cuore l’animus pugnandi della terra napoletana e proprio per questo motivo, oltre al fatto che la sua annata ed i suoi risultati con la maglia dell’Empoli parlavano in suo favore, ho apprezzato la scelta fatta dal presidente.
Il dubbio principale che pervadeva la maggior parte delle menti cittadine, ed anche quella del sottoscritto, riguardava la bontà della scelta in funzione del rapporto che lo stesso mister avrebbe dovuto avere con giocatori di caratura e personalità ben differenti da coloro che aveva gestito alla perfezione in quel di Empoli. Da Maccarone e Tavano si passava infatti ad Higuain e Callejon, entrambi con passato nel più prestigioso club al mondo, senza considerare personalità alquanto spiccate come Reina ed Albiol, campioni del Mondo e di tutto con la Spagna e via dicendo. Come rapportarsi con questi giocatori? Da umile Maestro o da finto saccente? Dopo due mesi di pre-campionato, otto giornate di Serie A, e dopo due splendide gare di Europa League, la risposta è presto data: barrare A. L’umile Maestro di campagna è riuscito a fare breccia nel cuore e nelle menti di questi Campioni, guardandoli negli occhi, sfidandoli e facendo breccia nel loro orgoglio ferito, rivitalizzandoli. Senza se e senza ma, la risposta arriva direttamente dalle facce, indemoniate, volitive e grintose dei partenopei che ogni domenica scendono in campo incarnando appieno lo spirito, ma non solo, del proprio allenatore.
Sempre ringraziando Flavio Tranquillo per le sue testimonianze, scomodo per la seconda volta parte del suo trattato sulla figura del mister, che non esita a definire così: “L’allenatore è “solo” colui il quale aiuta l’atleta a sviluppare il proprio potenziale all’interno di un contesto di squadra, dove “aiuta” è il concetto fondamentale in questione, perché a conquistare i giocatori non sono parole suadenti, e magari false, ma fatti concreti. Se un giocatore è davvero convinto che l’allenatore possa dargli una mano a vincere e che stia provando a farlo senza remore, sarà disposto a fare ciò che gli viene chiesto, salvo eventualmente non riuscirci”.
Insomma, Maurizio Sarri è riuscito a raccogliere i cocci della precedente stagione, fallimentare o esaltante che sia stata, e convincere della bontà del Suo progetto i giocatori, fugando ogni dubbio sul suo conto. Partendo da Higuain, che sembrava prossimo ad una serie di sedute dallo psicanalista dopo i frustranti e continui errori dal dischetto e che invece si sta esaltando come mai prima; passando per Callejon, che era destinato a partire in estate prima di tornare nuovamente lo stantuffo della fascia destra, utile come un ombrello in una giornata di pioggia; senza dimenticare Albiol e Koulibaly che da coppia denigrata dall’Italia intera è diventata, grazie a Reina, ad Hysaj, a Ghoulam, e soprattutto alle idee del mister, la seconda difesa del campionato; per finire ad Hamsik ed Insigne, rigenerati tatticamente, tecnicamente e concretamente da una sorta di flusso positivo che li ha investiti e che li sta portando, assieme al resto della squadra, a trascinare il Napoli verso la vetta della classifica.
Sarri ed il suo mantello dell’invisibilità stile Harry Potter, ha vestito i panni di Superman, e grazie ai suoi immensi superpoteri ha cambiato volto e soprattutto convinzione al Napoli ed ai suoi interpreti: lavoro, umiltà, dedizione, passione, idee e tanto altro. Il toscano-napoletano ha dimostrato, con qualche innesto in più in rosa, con un modulo leggermente differente dal precedente, e soprattutto con la forza della modestia, che spesso l’assunto statunitense less is more non è poi così errato: non serve semplicemente avere il migliore giocatore, il migliore allenatore, la migliore rosa a disposizione per vincere, ma semplicemente la somma algebrica che definisce un risultato è una componente di molteplici aspetti che vengono fatti collimare e confluire verso il risultato prefissatosi da un uomo di spiccata intelligenza, infinita preparazione e che spesso si trova al posto giusto al momento giusto.
“Alla fine sono la determinazione, l’attenzione, la responsabilità, l’intelligenza e l’agonismo che contano; subito dopo vengono la padronanza dei fondamentali individuali e la disponibilità a mettere il bene della squadra al di sopra di tutto. La tattica, le sfumature, la psicologia vanno approfondite a patto di ricordarsi che contano meno, anche se sono stupende da studiare”. Ancora una volta dal libro della Voce del basket italiano agli Europei di basket per Sky Sport, prendo spunto per sintetizzare lo stato d’animo che il Napoli di Maurizio Sarri mette in campo: serenità, voglia di lottare e non mollare, divertirsi giocando assieme ai compagni. La diretta conseguenza di tutti questi aspetti è la vittoria.
Insomma, Il Maestro di campagna potrà anche fallire così come portare il Napoli dove manca da troppo tempo, ma ciò che maggiormente importa è che Sarri non rinnegherà mai il potere delle idee, del lavoro e soprattutto dell'umiltà.