Due partite, un punto. Tre i gol fatti, quattro quelli al passivo. Bastasse questo per giudicare dopo appena 180 minuti di campionato il lavoro di Maurizio Sarri con il suo nuovo Napoli, sarebbe evidente ai più l'inconsistenza del bottino ottenuto dai partenopei, che in entrambe le uscite ufficiali fin qui disputate, hanno raccolto quanto meritato. Non basta questo, vivaddio come sentenzierebbe un profeta, per emettere le prime sentenze, perché al di là del discorso meramente di classifica che appassiona i tifosi ed i meno attenti, ciò che va analizzato nel dettaglio è cosa e quanto l'allenatore di Figline Valdarno ha indottrinato alla sua suqadra in questi due mesi di lavoro. Le critiche, le chiacchiere, sono una componente fondamentale del calcio italiano d'oggi, e servono per lo più a destabilizzare, non poco, il lavoro del giovane rampante che si sta affacciando in questo momento al gioco dei più grandi.

Il Napoli di Sarri, dei centottanta minuti fin qui a disposizione, si è visto, per stessa ammissione dell'allenatore toscano, soltanto in un lasso di tempo brevissimo: quindici, massimo venti, il Napoli durato a Reggio Emilia; ben più continuo e costante quello visto ieri, durato in ogni caso troppo poco per ottenere il bottino pieno. Ciò che si è visto, seppur per breve tempo, potrebbe ciononostante servire come biglietto da visita del lavoro del nuovo allenatore partenopeo, messo già alla gogna dai fischi dell'impietosissimo San Paolo per aver ottenuto un pareggio ed una sconfitta, entrambe di rimonta subita. La genesi dei due risultati parla di una squadra che gioca bene, molto bene, fin quando la condizione fisica lo supporta. Se questo è un limite, oppure una condanna, lo scopriremo soltanto con il passare delle giornate, ma è un passaggio inevitabile da un percorso di lavoro e di filosofia svolto per due anni che non solo si è interrotto bruscamente, ma ha subito un'inversione di tendenza diametralmente opposta.

La squadra vista ieri sera nel primo tempo a Fuorigrotta è quella ammirata più volte nel corso del biennio di dominazione spagnola, con l'eccezione che i partenopei di ieri sera hanno mostrato una maggiore consistenza nella metà campo difensiva dovuta alla maggiore copertura in quella metà di campo . Già, il contrappasso rispetto a quello che poi succederà nella seconda metà di frazione non va affatto confuso con quanto si vede nei primi quarantacinque di gioco, ma semplicemente va analizzato in maniera a sé stante: il Napoli attacca in quattro (Hamsik, più il tridente), supportato raramente da Allan, motorino instancabile ed infinito recuperatore di palloni, e da uno dei due terzini all'occorrenza. L'equilibrio del Napoli sarriano è ciò che è mancato in passato e complice anche un discreto possesso palla che non permette alla Sampdoria di macinare gioco e campo, il vantaggio ed il predominio azzurro è frutto di tutte queste componenti.

L'insieme è impreziosito, ma questo lo si sapeva anzitempo, dalla qualità delle giocate del tridente d'attacco che, seppur schierato nello scacchiere diversamente rispetto al passato, riesce lucidamente a creare occasioni a valanga, strappando applausi a scena aperta allo stadio di casa ed agli appassionati davanti al video. La pecca del Napoli è quella di non chiudere anzitempo la pratica: il palo di Insigne, qualche leziosismo di troppo, prima del raddoppio di Higuain, condizionano inevitabilmente la ripresa. Il calo fisico era ampiamente preventivabile ed a maggior ragione andava fatto uno sforzo ulteriore per provare a chiudere il match quando si poteva.

Il Napoli della ripresa imprime da subito un ritmo fin troppo alto alla contesa, provando a forzare la mano per piazzare il tris e pensare alla sosta bisettimanale. Dieci minuti di sterile predominio danno fiducia alla Sampdoria, con Zenga che decide di allargare i due funamboli d'attacco per lasciare centralmente gli inserimenti a Fernando e Soriano. Mossa azzeccata, che si mescola alla perfezione con il crollo fisico dei padroni di casa: Allan rompe i giri del motore improvvisamente e ciò fa tutta la differenza del Mondo. Il brasiliano, che nei primi cinquanta minuti rallenta l'azione avversaria di numerosi tempi di gioco non ne ha più, e l'ingresso di David Lopez non permette più al Napoli di ragionare lucidamente come in precedenza. Gli errori individuali sono i soliti, inutile e superfluo rimarcarlo, principalmente se sono individuali e non di concetto, il che sarebbe ben più grave e delittuoso.

Lo spagnolo è lento e macchinoso, il Napoli arretra di venti metri il baricentro dell'azione, lasciando spazio alle folate offensive di Muriel e dell'italo-brasiliano Eder, che oltre a confezionare i due gol che valgono il pari, creano scompiglio a ripetizione nella sbandante difesa azzurra. Le parate di Reina evitano la débacle, tra i mugugni del San Paolo che si aspettava ben altro. Gli ultimi minuti sono uno stanco infrangersi contro il muro blucerchiato: la pochissima lucidità del trio offensivo non permette agli azzurri di recare ulteriori pericoli alla porta di Viviano.

Su quale sia il Napoli vero, se quello visto nei primi cinquanta minuti e spiccioli o il secondo più sbiadito e confusionario, soltanto il tempo potrà dare risposta. Lo stesso tempo che va dato all'allenatore toscano per sciogliere i suoi ragazzi da una preparazione atletica che imbriglia il corpo e la mente. Il manico di questo Napoli è decisamente di ottima fattura, la testimonianza sono le mani screpolate dei tifosi partenopei che dovrebbero fare maggior testo a questo aspetto che al misero punto in classifica.

Avanti così, Maurizio!