Se esiste una squadra di Serie A che si identifica con la propria storia, con i suoi episodi salienti, quello è il Torino. Per descrivere il parallelismo ho scelto un nome ed un’immagine che possano racchiudere tutto il discorso. Meroni, Luigi, fu un’ala fenomenale del club tra il ’64 e il ’67, rinominato “la farfalla granata” per la leggerezza del dribbling con la quale superava gli avversari. Personaggio bizzarro: barba e capelli lunghi, artista fuori e dentro il campo, un anticonformista apolitico già prima del ’68, anno che non ha mai vissuto. Il 15 ottobre del 1967 venne infatti travolto da un’auto fuori dal Comunale di Torino, morendo a soli 24 anni.
Meroni, Pierluigi, tenente colonnello ai comandi dell’aeroplano che si schiantava contro la Basilica di Superga in un nebbioso pomeriggio del 4 maggio 1949, portando via con sé il Grande Torino. Un nome insomma che corre sul filo rosso della tragedia, che accomuna le due grandi ferite della storia granata, un po’ romantica un po’ maledetta, che ha visto partire anzitempo le proprie gioie, in un modo o nell’altro.
L’immagine è invece quella di Valentino Mazzola, giocatore simbolo di quel Grande Torino che vinse cinque Scudetti consecutivi tra il ’43 e il ’49 (la stagione 44/45 non venne disputata). Mezz’ala, ambidestro, con capacità tecniche ed atletiche straordinarie, ma soprattutto un carisma quasi paterno, sobriamente elegante. Basti sapere che le migliori prestazioni siano arrivate su campi pesanti per comprendere lo spirito di un giocatore che sulle spalle portava la “10”. Di quel Torino si ricordano inoltre i “quarti d’ora” nei quali travolgeva gli avversari su ogni piano, sempre annunciati da un gesto di Mazzola: arrotolarsi le maniche.
Questo significa essere un torinista, calciatore o tifoso, allenatore o presidente. Uno stato d’animo che oscilla pericolosamente tra l’amara malinconia e la gioia grintosa, l’idiosincrasia verso i “cugini” bianconeri – ricambiata – ed una mentalità che attinge un po’ alla fierezza borghese, un po’ alla voglia di riscatto operaia. Tutto, rigorosamente, made in Torino, con i suoi caffè e le sue fabbriche.
L’ultima vittoria del campionato (il settimo) risale tuttavia al ’76, stagione nella quale Graziani e Pulici spazzarono via ogni avversario a suon di goal e la Juventus realizzava il primo dei suoi harakiri in quel di Perugia. Seguono una serie di ottimi piazzamenti ed un declino che porterà alla retrocessione nell’89, anno in cui parte l’era Mondonico. Con il tecnico lombardo i Granata centrano il ritorno in Serie A ed aprono un ciclo che porterà alla Mitropa Cup (1991), un terzo posto (1992) e la conquista della quinta Coppa Italia (1993).
Inizia quindi un periodo di crisi economica e tecnica, con la squadra che alterna retrocessioni e promozioni, fino all’estate del 2005 che vede il Torino non idoneo all’iscrizione al massimo campionato e si susseguono tre cambi di proprietà. A spuntarla sarà Urbano Cairo, editore piemontese, che la spunterà solo il 2 settembre. Un’esperienza che non si rivelerà positiva nei primi anni, in un continuo viavai di allenatori, giocatori e dirigenti. Tant’è che la stabilità arriverà solo dalla stagione 11/12 con Petrachi nel ruolo di Direttore Sportivo e Ventura in panchina. I top player granata.
L'ALLENATORE - 67 anni, genovese, è riconosciuto come uno dei migliori allenatori italiani nonostante non abbia mai allenato una delle “grandi”. In particolar modo negli ultimi anni ha dimostrato con continuità una qualità rarissima, che ha fatto la fortuna sua e della società: il Torino riesce infatti sempre a salvarsi giocando un buon calcio, a tratti ottimo, anche con rivoluzioni della rosa. Nelle sessioni di mercato poi risulta spesso in attivo con l’uscita di pochi giocatori ipervalorizzati e l’arrivo di molti sottovalutati. Quel che si dice fare le nozze coi fichi secchi.
Psicologo prima che tattico, i princìpi di gioco di Ventura non sembrano avere nulla di visionario, meglio poche e semplici indicazioni per creare le condizioni ideali e dar vita così all’estro dei calciatori disponibili. È frequente infatti che dei giocatori abbiano alzato notevolmente le proprie prestazioni sotto la gestione del tecnico genovese senza sapersi ripetere altrove (Cerci su tutti, ma anche Immobile, Ranocchia, Barreto, e così via).
LA SQUADRA - La passata esperienza in Europa League, al netto della gloria di Bilbao (prima squadra italiana a vincere al San Mamés) e della visibilità, è arrivata al momento sbagliato per il Torino, costretto ad allargare la rosa per far fronte agli impegni anziché concentrare il tesoretto della cessione di Cerci e Immobile su giocatori di maggior spessore. Ecco infatti che i Granata hanno avuto difficoltà nella fase offensiva in questa stagione, nonostante Quagliarella sia stato il recordman in Serie A per numero di tiri provati. Quest’estate il mercato sembra essere terminato con notevole anticipo: la partenza di Matteo Darmian su un volo per Manchester (sponda United) e l’arrivo della coppia atalantina Baselli-Zappacosta sembra aver chiuso le operazioni principali, mentre i migliori prospetti sono stati mandati in prestito in Serie B (Parigini di nuovo a Perugia, Barreca a Cagliari nell’operazione che ha portato Avelar al Toro ed Aramu a Livorno, tutti nel giro della nuova under 21). Tra le operazioni “minori” è cambiata la geografia del centrocampo, via El Kaddouri (tornato a Napoli) e Basha (svincolato), dentro Obi ed Acquah. Insomma, una rosa ringiovanita, con alternative in ogni ruolo e buone prospettive per il mercato dei prossimi anni. Cosa manca? Liberarsi dell’ingaggio di Amauri e trovare un attaccante di belle speranze da alternare con Maxi López.
LA PROBABILE FORMAZIONE – Se, come sembra, Maksimović resterà almeno un altro anno allora Ventura dovrebbe riproporre il 3-5-2 dello scorso anno, da alternare probabilmente con un 4-2-3-1. Tra i pali la certezza è Padelli, in attesa che Ichazo ne soffi il posto, quindi la linea di difesa con Maksimović, capitan Glik e l’esperto Moretti. Anche qui le riserve Jansson e Gastón Silva sono attesi alla crescita dopo un anno di adattamento. In mediana le certezze Gazzi e Vives dovrebbero alternarsi nel perno davanti alla difesa, con le mezzali Baselli (il più certo) ed Acquah (in alternativa Obi e Benassi) a garantire dinamismo e protezione. Sugli esterni invece sono tre i nomi per due posti: Avelar e Zappacosta possono giocare solo sulla fascia del piede proprio piede dominante (mancino il primo, destrorso il secondo), mentre Bruno Peres può giocare su entrambe, ma nessuno dei tre sembra intenzionato a guardare dalla panchina. Per l’ex Santos comunque non si sono placate le sirene del mercato, con la Roma pronta a rimpinguare il suo parco esterni. Ecco, se il Toro dovesse cedere ancora qualcuno non ci sarebbe da sorprendersi se questo fosse Bruno Peres. In attacco invece i posti sembrano essere al completo, con Quagliarella e Maxi López titolarissimi, Josef Martínez ed Amauri le rispettive riserve. Il venezuelano in particolare è chiamato alla definitiva esplosione dopo una stagione tra luci ed ombre.
LA STELLA – Qui abbiamo un esempio di squadra senza una vera e propria stella. C’è una frase di Ventura che probabilmente spiega perché il Torino non abbia un giocatore sopra gli altri: “Il nostro slogan potrebbe essere: ‘Insieme possiamo’. Noi non possiamo competere con chi spende settanta milioni sul mercato, e quindi per combattere ci servono altre armi. Dobbiamo avere un modo di essere diverso e un cuore diverso. Vuole un esempio? Gli 80 mila tifosi che festeggiano la promozione sotto un vero e proprio diluvio. Ecco, quegli 80 mila possono competere anche con i 70 milioni”. Qui si racchiude sia lo spirito del tecnico sia quello del club, con l’aberrazione del divismo in favore della vittoria comunitaria. Certo, se proprio volessimo trovare il pelo nell’uovo allora si potrebbero individuare in Quagliarella e Glik le due luci più brillanti, sia sul piano tecnico che sul piano della leadership.
LE ASPETTATIVE – L’impressione è che la triade Cairo-Petrachi-Ventura voglia continuare con la strategia dell’ultimo biennio, aggiungendo nuovi pezzi ogni volta che se ne presenti l’occasione e massimizzare le cessioni. La società, del resto, ha in cantiere la costruzione del nuovo Filadelfia e i conti dovranno quadrare – FFP o non FFP – per molto tempo. Sul piano squisitamente tattico sembra che il mercato non abbia portato un pensatore di centrocampo in grado di sostituire El Kaddouri, con il rischio che la manovra del Torino perda di lucidità nei momenti in cui è chiamato ad offendere. Quindi, occhio agli scontri contro squadre di bassa classifica. La previsione? Parte sinistra del tabellone, ovviamente.