Ospite al Perlamora Festival di San Giovanni Valdarno, il nuovo tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, è intervenuto sul palco parlando, a tutto tondo, del suo rapporto con il calcio, del prossimo futuro sulla panchina degli azzurri e di tanto altro. Si parte, come al solito quando si ha a che fare con lo schietto Sarri, da una umile battuta: "Quest'anno andava di moda il mio nome, il calcio è così: ma si fa presto anche a passare di moda".
Dalla panchina del Faella ad allenare il Napoli. In mezzo tante squadre di provincia, prima di passare all'Empoli, con una caratteristiche che però accomuna tutte le presenze dell'allenatore di Figline Valdarno su ogni panchina: "Fumo ancora come prima, e scenderò sempre in campo in tuta. Non sono cambiato in queste cose, rispetto a quando allenavo il Faella. Semmai ho un po' di pazienza in più, ma quella penso sia una questione d'età. Parlare di carriera, di salto di qualità, a me sinceramente non importa. Io volevo fare della mia passione un lavoro: mi sono innamorato del mestiere dell'allenatore grazie a Sacchi, e questo tra l'altro glielo ho anche detto qualche giorno fa, quando l'ho finalmente conosciuto di persona. La cosa bella è che lui mi ha risposto che se dovesse scegliere un suo 'erede', sarei io. Mi ha fatto molto piacere. Detto questo, però, la mia vittoria non è stata arrivare a Napoli: io avevo vinto molti anni prima, quando ho potuto fare l'allenatore per vivere".
Ecco, Sacchi. Il mentore di Maurizio Sarri. Lo stesso ex allenatore del Milan dal quale il neo allenatore del Napoli prende spunto per rispondere alla domanda se servisse necessariamente l'esperienza del campo per diventare un buon allenatore: "Non è che per fare il fantino devi prima aver fatto il cavallo. Non mi monto la testa, quest'anno andava di moda il nome di Sarri, tutti venivano a Empoli a vedere gli allenamenti, come lavoravamo. In questo mondo però si fa anche presto a passare di moda. Io cercherò di lavorare al meglio, non so se il mio metodo sarà adatto a Napoli: lo vedremo".
Si parla, ovviamente, di Napoli e del rapporto nato con il patron Aurelio De Laurentiis che l'ha scelto: "Una personalità fortissima, quella settimana di contrattazione prima della firma è stata snervante. Per me ma anche per lui, penso. Credo che una società possa fare la differenza nel lavoro di un tecnico: l'ho sperimentato in tutte le mie precedenti panchine. Se è a fianco dell'allenatore, allora si può lavorare bene e molto. Altrimenti diventa impossibile".
L'ex allenatore dell'Empoli svela, successivamente, gli aneddoti legati al mercato che lo ha visto coinvolto nel mese precedente alla scelta di Napoli: "Ho studiato molte partite del Napoli, ma per mia natura, perché curo sempre gli aspetti del club dove vado a lavorare. Ho rischiato di stare fermo, perché durante la trattativa con la Sampdoria mi arrivavano dei messaggi da una squadra importante che mi diceva di non firmare perché mi avrebbero preso loro. Ho tirato per le lunghe fin quando il presidente della Sampdoria ha deciso di prendere un altro allenatore, giustamente. Nel frattempo il giorno dopo questa altra grande squadra (il Milan n.d.r.) ha deciso di prendere un altro allenatore ed in quel momento ho rischiato di restare senza panchina".
Sulle dimissioni all'Empoli: "Mi sono sentito in dovere di dare le dimissioni ad Empoli. Non sarebbe stato corretto trattare con altre squadre e qualora fossero andate male le cose, tornare a lavorare ad Empoli. Era una decisione da prendere nonostante i due anni di contratto. Era un rischio che dovevo correre. Poi da lì la trattativa con De Laurentiis".
Infine, l'addio ad Empoli. Sentito e doloroso: "Per i prossimi dieci anni, sono sicuro che alla fine di ogni partita chiederò che ha fatto l'Empoli. Per me è stato difficilissimo lasciare. Lì abbiamo creato un gruppo, cresciuto alcuni giovani promettenti, lavorato per raggiungere traguardi prima impensabili. Empoli è un posto in cui la società e i tifosi sanno aspettare, e per questo ci siamo riusciti. So già che Napoli sarà diversa, da questo punto di vista".