"Stai calmo, Rafa". Ci penso io avrà detto dentro di sè Marek Hamsik, l'oro di Napoli, quello che da otto anni ha abbracciato la città partenopea come seconda terra natìa. Minuto sessantacinque, il Napoli attacca, si sbatte, prova a scardinare il muro eretto dai rossoneri a protezione della porta di Diego Lopez. Benitez s'infuria, pretende maggior possesso palla, più cinismo, maggiore concretezza e velocità. Il capitano prende la parola, oltre che la squadra in pugno: "mister, tranquillo, ci sono io" a mò di paladino della giustizia.
In un momento dove la frenesia e la rabbia, unite alla frustrazione di non riuscire a sbloccare il punteggio, avrebbero potuto provocare un pericoloso effetto boomerang per il Napoli e per la partita in sé (vedi Atalanta), la calma, la tranquillità, la serenità, oltre alla consapevolezza dei propri mezzi, del capitano slovacco sono servite per raffreddare i bollenti spiriti, ed arrivare al risultato tanto agognato.
Inserimento perfetto, come quelli soliti, palla che viene respinta troppo corta dalla difesa milanista: una sbavatura, minima, un'inezia. Marek non perdona. La rabbia del capitano è quella di una città che s'abbraccia al Napoli nel momento di difficoltà, contro la rivale storica per antonomasia (assieme alla Juventus). Settanta minuti di strenue resistenza, di ansia che quella partita nessuno sarebbe riuscito a sbloccarla dopo il rigore, a freddo, che ha sicuramente giovato più agli ospiti che ai padroni di casa.
Il resto è storia. Il Napoli dilaga. Il Milan crolla, dal punto di vista fisico, ma soprattutto mentale. Una bolla di sapone rotta da quel piatto destro di una classe unica, un talento che s'accende, ad intermittenza, sia chiaro, ma che quando lo fa, illumina il San Paolo e non solo. Il bacio delicato al palo lì dove Diego Lopez stavolta non può farci proprio nulla, rilancia il Napoli nella lotta alla Champions tanto desiderata. Roma e Lazio sono avvisate, Marek è tornato.
Eppure, non era stato tutto così facile, dall'inizio dell'era Benitez. Tanti problemi per lo slovacco, fisici, con l'infortunio che ne ha condizionato la prima parte della scorsa stagione, poi quelli mentali, con un ruolo che, a detta di molti, stava troppo stretto al talento slovacco, particolarmente avvezzo a partire faccia alla porta invece di ricevere il pallone spalle alla porta e smistarlo come un centravanti di manovra. Hamsik non lo è mai stato, e mai lo sarà. Le sue caratteristiche sono uniche, di mezzala, che parte dalla sinistra qualora possibile.
Benitez l'ha capito, ha continuato a dargli fiducia (oltre al bastone ogni tanto), gli ha ricucito il ruolo addosso, e la differenza, anche se qualcosa è cambiato palesemente anche nel suo modo di affrontare le partite in termini di cattiveria agonistica (le panchine sono servite, come il ritiro), si è vista. Hamsik è vivo, e l'ha dimostrato nella notte più importante della stagione azzurra: a Wolfsburg. Due gol, ed una presenza costante, in attacco come in fase difensiva. Hamsik contrasta, Hamsik inventa, rifinisce, finalizza: insomma, Marek è tornato. 13 gol, quanti ne ha fatti nella sua stagione migliore in Campania, 14 assist: 27 gol, nel complesso, dove c'è il suo zampino. Per un centrocampista, niente male.
Il capitano del Napoli è tornato finalmente protagonista, in campo come fuori dal campo. Nello spogliatoio, da leader silenzioso ma carismatico qual è. Poche parole, molti fatti. Tanti atteggiamenti che lo slovacco non era abituato a caricarsi sulle proprie deboli spalle. Adesso c'è bisogno del vero Marek, quello che sembra stia venendo fuori in campo, a Wolfsburg come ieri contro il Milan. In casa e fuori, l'oro colato di Napoli incanta, sperando di illuminare la scena anche in queste ultime sei gare.
Hamsik indica la strada, ruggendo, alzando la cresta. L'urlo di Marechiaro mette paura a Roma e Lazio, ed anche al Dnipro, che giovedì sera verrà a Napoli per giocarsi le speranze di una qualificazione in Finale di Europa League. Il capitano è pronto. A caricarsi sulle sue spalle diventate più grandi e forti la squadra in questo penultimo passo che porta a Varsavia. Dove le spalle dovranno esser forti a sufficienza per alzare al cielo quella Coppa.