Possesso palla, passaggi, tiri. A volte, anzi spesso, nel calcio serve anche se non esclusivamente altro. Cinismo, rapidità (di pensiero e di giocata) e soprattutto, esserci con la testa. Il Napoli di ieri sera visto all’Olimpico di Torino è quello delle giornate più buie, peggiori. Una squadra che compie una serie innumerevoli di passi all’indietro: nel gioco, perché si è tornati ad un lento e costante possesso palla infruttuoso, che non ha idee ne sbocchi; nell’atteggiamento, perché se entri in campo con la voglia di aspettare, invano, che qualcosa possa accadere, ti ritrovi spesso con un pugno di mosche in mano; la compattezza: quella che dimostrano di avere gli avversari che ti portano esattamente dove vogliono loro. Ti imbrigliano, ti fanno giocar male. Questi gli aspetti che hanno deluso maggiormente l’allenatore Rafa Benitez.
Il Napoli sceso in campo nell’arena piemontese è una squadra che sembra smarrita, remissiva, fin troppo brutta per essere quella vera di queste settimane. Quello che colpisce spettatori e soprattutto allenatore è la completa assenza di gioco e di testa nella prima frazione di gioco. Una squadra svagata, nemmeno fosse a fine campionato senza obiettivi. Sembra quasi altezzosa, con un subconscio che ti dice che gli avversari crolleranno nel secondo tempo, alla distanza, dopo aver patito le pene dell’inferno basco. Ed invece, è bastato un Glik e la partita cambia.
Benitez ripiomba in vecchie problematiche, che hanno afflitto il suo Napoli soprattutto lo scorso anno: di spirito, di concentrazione, di attenzione e di mentalità. La squadra, come a Palermo, si scioglie al primo colpo di vento. Così come la papera di Rafael in Sicilia, ieri sera il retropassaggio sciagurato di Koulibaly costa molto caro ai partenopei. Ma c’è dell’altro. Parziale attenuante ad una prestazione cosi scialba e senza piglio, come spesso dalle parti di Posillipo e dintorni, la mancanza di un uomo che faccia gioco per davvero. Quando il Torino s’è chiuso nella sua metà campo (e non solo dopo il vantaggio), l’assenza di qualcuno che imbeccasse trequartisti ed attaccanti è tornata ad essere esigenza di vitale importanza. Ventura ha dimostrato ancora una volta di essere fine stratega, uno scacchista nato. Piazza due uomini d’attacco a protezione della palla, con i centrocampisti che seguono ad ombra le mezze punte partenopee. Se non bastasse dietro ci sono cinque (si, cinque) uomini pronti a chiudere ogni minimo spazio. Una muraglia quasi impenetrabile.
Il possesso palla del Napoli è lento, stantio. Nessuno riesce a dare il cambio di passo giusto. Basti pensare che l’unica azione degna, o quasi, di tale nome è uno slalom speciale di Raul Albiol che prima di calciare a lato aveva perforato la difesa granata in verticale. Ecco, il Napoli di ieri è un continuo passaggio in orizzontale, macchinoso, inutile, che si infrange a ripetizione sulla muraglia eretta dall’allenatore dei torinesi. Servirebbe trovare un uomo tra le linee, quello che si infila tra le mura nemiche e fa saltare il banco. Ma né Hamsik, che continua a giocare a nascondino dietro i tre centrocampisti del Torino, né un Callejon che oramai è l’ombra di se stesso, riescono a trovare la giocata giusta. Mai incisivi al centro come sulla fascia: gli unici lampi dei due vengono da conclusioni nate per caso, frutto di rimpalli. Poco altro.
Meglio invece quando entra Gabbiadini. Sembra tardivo l’inserimento dell’ex doriano, che per movimento e per voglia di fare il migliore in campo dei campani. Manolo si muove, cerca di venire a prendere la palla anche davanti alla linea dei mediani avversari ed a volte riesce anche nel suo intento. L’occasione clou della ripresa arriva proprio da un inserimento centrale, poi smistato sulla corsia mancina dove De Guzman ha trovato il guizzo giusto, l’unico, per servire Higuain: la girata del pipita, però, non è stata delle migliori.
Così il Napoli viene punito, forse dalla provvidenza, forse dalla giustizia di un calcio che rende merito a chi ci crede maggiorment. Il Toro nei 90 minuti ha dimostrato sicuramente di avere più testa e cuore rispetto agli azzurri. Preciso, equilibrato, sornione e cinico al punto giusto. Il retropassaggio di Koulibaly è la fotografia perfetta di una gara nata storta, condotta male e finita peggio. Probabilmente avrebbe potuto stopparla, servire Albiol e far ripartire l’azione, ma non avrebbe cambiato la sostanza dei fatti: questo Napoli, quello di ieri sera, non aveva l’atteggiamento giusto per impensierire la banda Ventura.
Il Napoli di ieri sera sembra essere tornata provinciale. Un atteggiamento che non si vedeva da tempo e proprio per questo sembra essere un clamoroso passo indietro, anzi più di uno soltanto, rispetto agli ultimi risultati. C’è modo e modo di perdere una partita. Attaccando, proponendo, essendo vivi in campo. Ieri sera è mancato questo. Così come manca spesso il centesimo per fare l’euro: quando ci si trova davanti alla possibilità di fare l’ultimo, forse il penultimo passo, ci si trova sempre a dover tornare indietro. Una mancanza di mentalità? Una carenza di personalità? Cos’è che manca davvero al Napoli per diventare finalmente grande? Sono doti che non si comprano di certo al mercato, estivo o invernale che sia.
Calma però. Niente è perso. Per fortuna è soltanto una partita, che però viene nel momento giusta e che suona come campanello d’allarme bello grande in vista di un tour de force che durerà fino a fine aprile. Bisognerà prendere fiato, fare un respiro bello grande e rituffarsi nel lavoro quotidiano che è l’unico toccasana giusto per far guarire tutti i mali. Da quelli singoli a quelli di squadra. Da quelli di mentalità a quelli di concentrazione. Non è il caso di fare processi per una o due partite perse, c’è da salire in barca e remare dalla stessa parte. Gli errori si commettono, l’importante è imparare da questi ultimi e tornare sulla retta via. Quella via che ha portato il Napoli ad una stagione ottima fin qui e che nei prossimi trenta giorni potrebbe diventare esaltante. L’importante è che la testa sia al suo posto, che la voglia dei giocatori sia sempre la stessa e che la mentalità rispecchi quella vincente di un allenatore oramai stufo di questi improvvisi chiari di luna.