Parlare di beffa non ha senso. Porterebbe lontano dal cuore del problema. Mancini conosceva la Juventus, non ancora il Galatasaray. Si è adeguato, l’ha attesa. Ha giocato più o meno come hanno fatto Chievo e Toro. Solo che Drogba è Drogba, rete e assist. Ignoro quanto la Juventus abbia preso per oro colato la classifica del campionato. Dalla ninna-nanna, direi che sia caduta nel tranello tesole da bandiere fin troppo generose.

Persi i pezzi (Vucinic, Lichtsteiner) e, a meno di miracoli, già persa la Champions: non è più la Juventus cannibale d’antan, è una squadra qualsiasi, sgonfia, facilmente controllabile. Grave l’errore di Bonucci; grave, soprattutto, perché si aggiunge a quelli di Chiellini (Inter), di Buffon (Chievo), del reparto (Copenaghen, Verona). Non sono più eccezioni: è la regola. Il ricorso al lancio lungo può costituire una valida alternativa, non però la parabola sistematica, stucchevole (e senza Llorente in campo). Tevez non era al massimo, nessuno lo era. La scossa è venuta da Quagliarella, tra rigori sfiorati, procurati e gol-illusione.

A ritmi così blandi, tutto sembra minestra riscaldata, figuriamoci il 3-5-2 che Conte vorrebbe rinfrescare ma non sa come. In casi del genere, si ricorre al furore. Viceversa, ho colto qui e là «ruttini» da pancia piena, come se non fosse più la squadra al centro di tutto, ma tutti aspettassero un segnale, un soccorso. Se il disturbo fosse il rigetto di Tevez o Pogba (ma non lo è), la soluzione sarebbe semplice: basterebbe tornare alla formazione e al gioco degli scudetti.

C’era una volta il pressing. Il «busillis» è proprio la lentezza di gamba e di pensiero. E siamo appena a ottobre. E’ come se avessero spento la luce. Nulla di irreparabile. A patto di trovare l’interruttore. Perché, ripeto, da Juventus-Galatasaray è uscito un fiasco di gruppo, non gruppi di fiaschi.