Il Clasico è già iniziato. A colpi di tweet. Nell'era dei social network, il sempre attivo Gerard Piquè ha acceso la miccia martedì sera, postando dei puntini di sospensione per sottolineare gli errori arbitrali che hanno consentito al Real Madrid di superare il Bayern Monaco nella gara di ritorno dei quarti di finale di Champions League. Non si è fatta attendere la replica del capitano merengue Sergio Ramos: "Piquè pensi a quanto accaduto con il PSG". Chiaro riferimento a un'altra gara controversa, quella del famoso 6-1 dei blaugrana sui parigini al Camp Nou, con arbitraggio altrettanto discusso.
Ora però Real e Barcellona non sono più rivali in Europa. Non in questa stagione, quantomeno, in cui i blaugrana sono stati eliminati ancora una volta ai quarti di finale (come lo scorso anno, contro l'Atletico). Ma la sfida è ancora aperta nel cortile di casa: i merengues conducono la Liga con tre punti in più (e una partita in meno) dei catalani, in attesa del Clasico del Santiago Bernabeu di domenica sera. Un confronto che dirà tantissimo sulle sorti del campionato, traguardo fortemente voluto dal Real, che non vince in patria dal 2012 (dai tempi di Mourinho) e che si è aggiudicato un solo titolo negli ultimi setti anni di dominio blaugrana (con l'inserimento nel 2014 del terzo incomodo Simeone). Dalle parti di Chamartin la Liga viene considerata l'obiettivo principale della stagione, un gradino sopra anche la conquista della Duodecima, mentre nella Ciudad Condal il campionato è l'ultima occasione per alzare un trofeo importante in questa stagione. Vero, il Barça è in finale di Copa del Rey - contro i baschi dell'Alavès - ma per un club abituato a vincere titoli in successione la coppetta nazionale sarebbe poco più di un premio di consolazione. Ecco perchè da ieri sera è partito il final countdown. Appena svanita l'illusione della remuntada contro la Juventus, i dirigenti catalani hanno indicato la rotta da seguire: vincere a Madrid per continuare a cullare sogni di doblete. Lo scorso anno fu un trionfo blaugrana: 0-4 in favore del Barcellona, allora orfano di Leo Messi (la Pulce entrò a gara in corso e a giochi fatti), contro un Real allenato da Rafa Benitez. Da quel novembre 2015 molte cose sono cambiate, soprattutto in casa merengue, dove l'arrivo di Zidane ha riempito ulteriormente la bacheca del Bernabeu e ridato nuove certezze a un gruppo sempre più cementato.
Di contro, il Barcellona è una squadra a fine ciclo, come testimoniato dall'addio già sbandierato da Luis Enrique. A giugno si chiuderà un triennio importante per i blaugrana, ricco di vittorie ma anche di qualche delusione, che imporrà diversi ripensamenti quanto al nuovo indirizzo tecnico e all'ormai imminente campagna rafforzamento. Ma Real-Barça non è solo sfida di campo, è anche "politica": il centralismo di Madrid contro la voglia di autonomia della Catalogna. Un match tra chi è accusato di "tirare i fili della Spagna" (citazione del solito Piquè) e chi invece è tacciato di "scarso" patriottismo. Accuse reciproche di due superpotenze del calcio mondiale, ormai seguite in tutto il globo calcistico, ma spesso concentrate su una competizione domestica che non ha soluzione di continuità. L'ultimo caso - in ordine di tempo, si intende - riguarda Theo Hernandez, esterno sinistro attualmente in forza - in prestito - all'Alavès. Il giocatore è di proprietà dell'Atletico Madrid, ma in Spagna assicurano che Florentino Perez pagherà presto la clausola rescissoria di ventiquattro milioni per portarlo a Valdebebas. Un vero e proprio caso diplomatico, che vede i colchoneros irritati con i cugini e, secondo quanto riportato oggi dal quotidiano Mundo Deportivo, desiderosi di cedere il ragazzo (diciannove anni) a un Barcellona che non vorrebbe farsi sfuggire un altro giovane talento dopo la vicenda Marco Asensio. Già, perchè il maiorchino era nel mirino dei dirigenti blaugrana, prima di un colpo di mano del Real, riuscito nell'impresa di accaparrarsi uno dei migliori under-21 del panorama spagnolo. Un fiore all'occhiello per il Real, una beffa per il Barça, che da un paio d'anni non inserisce più in pianta stabile giocatori della Macìa (Sergi Roberto l'ultimo prodotto della Macia), a differenza di quanto sta accadendo con la Fabrica merengue, che ha sfornato giocatori del calibro di Lucas Vazquez, Marcos Llorente e Alvaro Morata.